Bankitalia, salviamo
il prestigio istituzionale

Se il tema della nomina del Governatore della Banca d’Italia viene circoscritto alla questione del nome da proporre al presidente della Repubblica, così come sta accadendo dopo un pronunciamento parlamentare che ci limiteremo qui a definire sorprendente, allora bisogna purtroppo rilevare che c’è un rischio di sconfitta per tutti. Se viene confermato Ignazio Visco, sarebbe sconfessato il blitz della Camera, tutto politico e tutto orientato alla ricerca, senza nominarlo, di un «colpevole» delle crisi bancarie. Se venisse estratto un nome nuovo, avremmo trovato una specie di colpevole, ma se il nome uscisse dal direttorio di via Nazionale che agisce all’unanimità, Visco sarebbe tout court un capro espiatorio.

Se poi fosse un esterno (in passato lo sono stati i più prestigiosi), lo schiaffo alla Banca sarebbe però totale e – a parte la difficoltà di trovarlo nel panorama italiano – sarebbe inevitabile la radiografia politico ideologica del prescelto. Dunque, nel vicolo cieco di questa vicenda, ci rimettono davvero tutte le istituzioni e soprattutto il rispettivo equilibrio: la Presidenza della Repubblica che, in questo campo, è l’autorità di ultima istanza, la Presidenza del Consiglio, il Parlamento della mozione e quello della Commissione d’inchiesta, che era stata voluta proprio per avviare un approfondito esame su ciò che è avvenuto in un certo perverso localismo. Ma qui la sentenza precederebbe la discussione.

Nell’elenco dei vinti o vincitori, a seconda della scelta, andrebbe infine aggiunto Mario Draghi, che di Visco è lo sponsor. E una piccola crepa nella credibilità di Draghi non è proprio nell’interesse dell’Italia, a meno di due anni dalla fine del suo mandato, nei giorni stessi in cui sta per cambiare la politica espansiva di Francoforte (175 miliardi di interessi in meno sul debito italiano, da quando è partito il quantitative easing). Senza dimenticare che queste oscillazioni e le voci che girano in Europa sulle incertezze italiane in materia di Autorità bancarie, sono forse la conseguenza peggiore introdotta dall’affondo parlamentare su Visco, che ci rappresenta nei vertici internazionali e – in accoppiata con Draghi – mette la faccia di un’Italia che per tanti altri aspetti è guardata con diffidenza. Dio non voglia che tra pochi mesi salti anche la governabilità a seguito di elezioni senza vincitori: è proprio in evenienze come queste che poi si deve sperare di avere un presidio solido almeno in Bce e in Bankitalia.

Persino nell’America di Trump la successione della governatrice della Fed, in discussione in queste settimane, è prudente e ancora da definire, ma forse lì funziona almeno il bilanciamento dei poteri. Quando ci vanno di mezzo le istituzioni, è infatti un guaio per tutti, perché esse sono punti fermi anche nella bufera delle polemiche politiche, che sono fisiologiche, e persino salutari, se però non toccano gli architravi del sistema. In tempi di populismo dilagante, cioè di facili semplificazioni, si fa in fretta a travolgere tutto. Renzi dice che non vi debbono essere degli «intoccabili», ed ha ragione – ci mancherebbe altro – e anche Visco non è certo un’icona insostituibile e ha le sue responsabilità (è qui che Renzi coglie un umore diffuso, sia pur in reiterata concorrenza con i 5Stelle), ma un conto sono le persone fisiche e un conto «la» Banca, che è lì per tutelare un bene generale come il risparmio, quindi la fiducia e il lavoro delle persone, anche le più umili, non i finanzieri e i capitalisti. Altrimenti avrebbero ragione quelli che, nella sua Livorno, non vogliono intitolare una piazza ad Azeglio Ciampi, perché «banchiere».

Allo scopo di annullare la confusione tra persone fisiche e istituzione, Luigi Einaudi aveva favorito l’incarico a vita per il Governatore di Bankitalia, e quando la nuova legge interruppe questa tradizione forse si è fatto l’errore di non stabilire comunque un termine fisso, per sottrarre oggettivamente il rinnovo a influenze politiche contingenti. Ora che il guaio è stato fatto, sarebbe forse buona cosa – uscendo così dalla trappola del «Visco-sì Visco-no» – cogliere l’occasione per dare continuità al vertice ma subito rivedere le regole generali di una istituzione che è nel frattempo diventata altra cosa rispetto ai tempi di Einaudi. È infatti il ramo italiano della Banca europea, ha perso alcune funzioni chiave (emettere moneta, per dire la più eclatante), ha proprio nella vigilanza la sua missione, e abbiamo tutti bisogno di una più forte presa su ben 462 istituti di credito (gli altri 15 sono di competenza Bce), proprio perché non si ripetano i casi delle repubbliche bancarie autonome (il tema è di attualità) del Veneto e della Toscana. Insomma, da questa vicenda, non possiamo permetterci che esca una Banca d’Italia azzoppata. Gli uomini passano, ma questo pilastro del nostro sistema economico deve poter continuare a reggere con autorevolezza. Tutto il male può insomma non nuocere, se cogliamo l’occasione di dare all’istituto di via Nazionale non soltanto una guida materiale in continuità di funzione, ma una rinnovata missione complessiva adeguata e aggiornata alla nuova situazione europea.

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