Battaglia navale
L’Iran fa sul serio

Lo chiede il Regno Unito, naturalmente. Poi l’Unione europea, la Francia e la Germania. Per non parlare degli Usa che, d’intesa con re Salman, hanno deciso di mandare truppe in Arabia Saudita, dove non stazionavano dalla fine dell’invasione dell’Iraq. Eppure, possiamo scommetterci, l’Iran non farà marcia indietro e non lascerà libera la petroliera inglese «Stena Impero», sequestrata nei giorni scorsi, con i 23 uomini di equipaggio, mentre attraversava lo Stretto di Hormuz, il collo di bottiglia marittimo per cui transita circa un terzo del greggio commerciato nel mondo.

Teheran non farà marcia indietro per una ragione molto semplice. Donald Trump l’anno scorso ha deciso di disdettare in modo unilaterale l’accordo che nel 2015 Barack Obama, l’Europa, la Russia e l’Onu avevano raggiunto per bloccare l’arricchimento dell’uranio iraniano a scopi militari. Trump, per motivare la decisione, ha detto che l’Iran non stava ai patti e quindi l’accordo non funzionava. Con lui solo Arabia Saudita e Israele. Russia e Unione europea, oltre a innumerevoli altri Paesi, sostenevano invece il contrario, e cioè che l’Iran stava ai patti e l’accordo funzionava.

Da allora sono successe due cose importanti. L’embargo decretato dagli Usa sta affondando l’economia iraniana. E l’Europa, che aveva gridato ai quattro venti la volontà di opporsi all’ingiustizia americana, si è poi allineata alla Casa Bianca. Contro voglia, certo. Ma resta il fatto che le grandi aziende europee hanno mollato i partner iraniani e la solidarietà politica di Bruxelles non è andata oltre un po’ di belle parole. Quando poi, un paio di settimane fa, la petroliera iraniana «Grace 1» è stata sequestrata dagli inglesi nelle acque di fronte a Gibilterra (con l’accusa di portare petrolio in Siria a dispetto delle sanzioni anti-Assad, mai successo), a Teheran si sono convinti di due cose: che il Regno Unito, con la Brexit, è destinato a fare da vassallo agli Usa; e che la Ue è un interlocutore non più affidabile. E hanno tratto una conclusione in fondo piena di logica. Che suona più o meno così. Se il piano di Trump è di soffocarci pian piano, contando sulla debolezza degli europei, allora non staremo qui a farci soffocare senza reagire. E non lo nascondono. Mentre le autorità «politiche» dicono che la petroliera inglese ha urtato un peschereccio iraniano e ha rifiutato di dare spiegazioni, il portavoce del Consiglio dei Guardiani della Costituzione parla apertamente di una ritorsione per il sequestro della petroliera iraniana a Gibilterra. Ora gli inglesi dicono che la loro nave era nelle acque dell’Oman, proprio come gli iraniani dissero che la loro era in acque internazionali.

Resta il fatto che stiamo scivolando verso l’ennesima crisi creata in modo artificiale e destinata a sconvolgere il Medio Oriente e non solo. Sentire il ministro degli Esteri inglese Jeremy Hunt che, mentre contende a Boris Johnson la poltrona di successore di Theresa May, fa la predica agli iraniani sulla legalità internazionale è una di quelle cose per cui tutti dovremmo provare vergogna. Il Regno Unito incassa più di un miliardo di sterline l’anno con le vendite di armi all’Arabia Saudita. Metà dell’aviazione militare saudita è di produzione inglese. Senza, ai sauditi sarebbe più difficile compiere i raid mirati contro la popolazione civile dello Yemen più volte denunciati dall’Onu. O realizzare quel blocco via aria, terra e mare che, secondo diverse organizzazioni umanitarie, ha già fatto morire di malattie e di stenti oltre 85 mila bambini yemeniti.

Noi occidentali a cose come questa non badiamo. I popoli del Medio Oriente sì. E gli iraniani, che non sono arabi e sono uno dei pochi veri Stati-nazione della regione, più di tanti altri. Ci siamo sentiti invincibili in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria. I petrodollari sauditi sono un forte incentivo ma non sarebbe ora di fare meglio i conti?

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