Bravi in sanità
ma Piario è una ferita

La sanità di casa nostra è così eccellente che la Bergamasca è al primo posto nella classifica di riferimento stilata da «Il Sole-24 Ore» nell’ ambito dell’ ormai tradizionale ricerca sulla qualità della vita nel nostro Paese, giunta alla 27ª edizione. Il valore preso in esame dagli analisti è legato al tasso di emigrazione ospedaliera; in poche parole si è andati a vedere quanti sono i bergamaschi che per curare le malattie che li affliggono scelgono ospedali e strutture sanitarie al di fuori della Bergamasca. Dati alla mano, emerge che sono davvero pochi coloro che scelgono di «emigrare» per rimettere in sesto il proprio stato di salute.

Il dato è certamente positivo, perchè - pur non essendo legato a doppio filo con la qualità delle cure che riceviamo (i parametri per calcolare quest’ aspetto sono altri e un po’ più complessi) - dà la conferma che, sul nostro territorio, l’ offerta sanitaria nel suo complesso è sostanzialmente in grado di soddisfare i bisogni della popolazione bergamasca. Tuttavia è perlomeno curioso che nei giorni in cui la ricerca del «24 Ore» assegna la palma d’ oro per la sanità non soltanto alla Bergamasca, ma alla Lombardia intera (visto che sono sei le province padane tra le prime dieci della graduatoria), il ministero della Salute - con un documento a firma del (neo)ministro Beatrice Lorenzin - impone la chiusura del «punto nascite» dell’ ospedale «Antonio Locatelli» di Piario, ridente località in provincia di Bergamo.

La questione è nota da tempo: il numero minimo di parti non può scendere sotto le mille unità per gli ospedali «normali», limite portato a 500 per i cosiddetti «ospedali di frontiera», come appunto l’«Antonio Locatelli» di Piario, che di parti - nel 2015 - ne ha fatti 437, 63 in meno rispetto alla soglia minima prevista dal ministero per garantire la sicurezza delle gestanti e dei figli che portano in grembo. Scelta legittima, per carità, anche perchè molti non sanno che non si è mai così vicini alla morte come quando si viene alla luce, ed è quindi giusto e doveroso garantire alle future mamme e alle nuove vite che portano con sè tutti gli standard di sicurezza che oggi una moderna sanità è in grado di dare.

E qui sta il problema. A Piario non ci si trova nelle stesse condizioni dell’ ospedale di San Giovanni Bianco, dove lo scorso anno il «punto nascita» era stato chiuso perchè non riusciva ad oltrepassare i 140 parti, cifra davvero pericolosa per dare tutte le garanzie in mancanza di servizi adeguati, ma ci si trova in un ospedale che di parti ne ha fatti quasi il triplo e che - in collaborazione con l’ Ats di Bergamo - ha applicato tutte le strategie per mettere in sicurezza il momento del parto. A Piario - 24 ore su 24 - ci sono un pediatra, un ginecologo, un chirurgo e un anestesista a disposizione delle donne che vengono a partorire, senza contare la rete allestita tra i consultori della zona per incanalare verso Piario le neo mamme delle zona, che sembrerebbero apprezzare gli sforzi, visto che l’ 85% ha scelto di far nascere lì i propri figli.

Va bene che a Roma possono anche aver pensato che essendo dedicato all’ asso dei cieli, Antonio Locatelli, triplice medaglia d’ oro, all’ ospedale di Piario ci sono solo eli-ambulanze e non le ambulanze tradizionali su quattro ruote, ma stiamo parlando di un presidio che dista oltre trenta chilometri dal «punto nascita» più vicino (quell’ ospedale di Alzano, dove c’ è anche un patologia neonatale con relativa terapia intensiva), e che di autostrade - nel mezzo - non ce n’ è una. Senza contare che le mamme della zona non stanno nella piazza del paese ad aspettare di mettere al mondo il proprio figlio, ma vivono anche dieci, venti o trenta chilometri più a nord. E non c’ è ospedale di Lovere o di Esine che tenga: da qualunque parte ti giri, le distanze - e soprattutto la situazione viabilistica - danno davvero i brividi quando ti trovi in grembo un piccolo che spinge per uscire alla vita.

Nei mesi scorsi l’ Asst di Seriate (da cui Piario dipende) e Regione Lombardia avevano presentato una sorta di memoria difensiva spiegando le ragioni «orografiche» che spingevano per mantenere comunque la presenza del «punto nascite», ma più in là - pare - non si è andati. Ora è necessario fare di più. Rassegnarsi alla chiusura del «punto nascita» sarebbe un vera sconfitta, e lo stesso governatore della Lombardia, Roberto Maroni, così come il suo assessore alla Sanità, Giulio Gallera, non dovrebbero limitarsi a prendere atto del provvedimento ministeriale, scaricando la responsabilità sul solito governo centralista, ma - al contrario - dovrebbero prendere in mano la situazione e dirigersi senza indugi alla volta di Roma per discutere la questione con i tecnici del ministero. Il quale, a sua volta, ha il dovere di tutelare fino in fondo anche l’ efficienza dell’ ospedale di Piario, garantendo alla struttura tutto ciò che serve per continuare ad accogliere in sicurezza le partorienti.

Se c’ è ancora qualcosa da fare per salvare il «punto nascita», l’ ospedale di Piario e i sindaci della zona sono disponibili a farlo. In Italia, si dà vita a tanti tavoli tecnici per risolvere le situazioni più strane: possibile che non si riesca a farne uno anche per trovare il modo di salvare un servizio fondamentale per una zona della Bergamasca già disagiata da tante altre situazioni?Maroni e Gallera (e magari anche qualche parlamentare che fino ad oggi ha fatto orecchie da mercante) si prendano a cuore la questione e facciano la loro parte. Quella lombarda è o non è la sanità più bella d’ Italia?

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