Contro la corruzione
le riforme non bastano

Circa 2/3 delle inchieste condotte dalla Corte dei conti riguardano le Regioni del Sud che da sole arrivano al 60,4% delle irregolarità rilevate. Lo dice il presidente della Corte dei conti in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

Il dato impressionante è da ricondursi anche alla «presenza sul territorio della criminalità organizzata ed a un più marcato ritardo nella crescita economica rispetto alle altre aree» per usare le parole della magistratura contabile. Ma la cosa che ancor più spaventa è come il ripetersi di fenomeni di mala gestio e di corruzione possano incrinare, «...la stessa speranza di poter trarre dall’azione pubblica nuovo impulso per il ritorno su livelli di crescita soddisfacenti».

Mentre a Milano si comincia a sperare, i ristoranti cominciano ad essere affollati, la gente si dà da fare e la città trasmette un senso di vitalità che mancava da tempo le parole della Corte dei Conti ci riporta al male nazionale. Negli stessi giorni il governatore della Banca d’Italia mentre conferma per il 2015 un ritorno al segno più del pil, se pur a livello decimale , ammonisce che la vera piaga nazionale è la corruzione. La crisi dell’euro ha segnato un punto di non ritorno e cioè la riconversione dell’intera economia italiana a criteri di competitività.

Per l’Italia vuol dire l’abbandono dell’assistenzialismo e l’entrata ufficiale nell’economia moderna. Per troppo tempo si è scambiata l’economia sociale di mercato con la creazione di posti di lavoro clientelari e i sussidi a pioggia e a fondo perduto. È questo il terreno di coltura sul quale ha prosperato la corruzione al punto che la criminalità organizzata si è inserita nell’economia rendendo più difficile la demarcazione fra ciò che è legale e ciò che è frutto di attività illecite.

Questo è il tratto caratteristico della struttura politico, sociale ed economica di molti paesi del Sud Europa e di certo della Grecia. Ciò che accomuna le due patrie della civiltà occidentale, Roma ed Atene, per intenderci è questa permeabilità all’attività illegale e la sua commistione con la politica e quindi con i governanti. In Grecia il parlamento è monocamerale con 300 deputati, il processo legislativo snello, l’elezione del capo dello stato avviene in sede parlamentare ma se alla terza votazione non si elegge il presidente della repubblica con il quorum richiesto , si torna alle urne e la parola torna agli elettori.

Eppure nonostante una semplificazione dei processi istituzionali che in Italia è oggetto di invidia dal 1975 anno di introduzione della costituzione ad oggi la democrazia greca è stata ostaggio del clientelismo, della corruzione, delle malversazione dei partiti sia di destra che di sinistra. Una società chiusa estranea ai mercati moderni. Guai a credere che un paese possa essere cambiato con le sole riforme istituzionali . È un clima culturale e quindi politico che va mutato. Il pericolo più serio è che una rassegnata assuefazione al malaffare pervada il tessuto sociale e percepisca la corruzione come un male senza rimedi.

Gli atteggiamenti di chiusura dei paesi del nord, Germania in testa, alla richiesta di una maggiore flessibilità in tema di crescita va a cozzare contro questa diffidenza di fondo. Questo porta i paesi del Nord Europa a considerare il regime di costrizione finanziaria l’unico strumento per migliorare i costumi. Una visione rigida che nel caso greco ha generato drammi sociali. L’Italia nel 2011 è andata vicino ad una amministrazione controllata dalla troika .A Bruxelles con la Bce e il Fondo Monetario Internazionale erano pronti a scendere a Roma. Si è già dimenticato. Rispettare le regole è il primo precetto per un ’economia sana e l’antidoto al male oscuro del Paese.

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