Grandi opere, rissa
tra Lega e 5 Stelle

La politica, si sa, è l’arte del compromesso, ma nella maggioranza di governo è difficile trovare la quadra sulle infrastrutture (di cui il Paese ha un immenso bisogno). Il caso più emblematico (ma non il solo) è la Tav, la linea ferroviaria Torino-Lione concordata tra Italia, Francia ed Unione europea a suon di trattati internazionali ratificati dal Parlamento (ben cinque). La vicenda dura dal 2011 e con questo governo gialloverde è ormai entrata nella sua fase parossistica. Come è noto, i Cinque Stelle sono contrari a quest’opera, che dovrebbe far trasportare su rotaia uomini e merci da Est a Ovest attraversando il cuore dell’Europa, alleggerendo il traffico su gomma.

I grillini la ritengono da sempre inutile e costosa e ne hanno fatto una delle basi della loro lotta politica fin dal principio. Quando i No Tav, gli antagonisti contrari ai cantieri nella Val Susa, riuscirono, nel 2005, a far dissequestrare un terreno che doveva servire per scavare un tunnel esplorativo, Beppe Grillo tuonò affermando «Io sono valsusino», sulla falsariga della celebre frase «Io sono berlinese», pronunciata da Kennedy nel giugno 1963 davanti al Muro, in Rudolph Wilde Platz.

E infatti il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, che è un Cinque Stelle, tuona: «Nessuno si azzardi a firmare nulla», poiché l’opera «va discussa integralmente». Tutto questo a sei anni dall’inizio dei tormentati lavori. Toninelli ha cercato anche di buttarla sullo «squilibrio dei costi» a vantaggio della Francia perché tanto si sa che a polemizzare con i cugini d’Oltralpe va sempre bene. Dimenticandosi che in caso di rinuncia rischiamo di pagare penali che vanno fino a dieci miliardi di euro. La questione divide anche lo stesso movimento, tra «possibilisti» e mediatori come Di Maio e ortodossi No Tav che hanno legato la loro carriera politica proprio a queste battaglie ambientali. C’è chi sostiene che è venuta «l’ora della maturità» per un movimento nato sull’onda di visioni un po’ troppo ideali. Il problema è che «l’ora della maturità» in questo caso coincide con il ripudio di un aspetto importante della loro identità.

Peccato che per la Lega - la seconda gamba di questo governo - la Tav è addirittura «strategica» come non fa che ripetere il sottosegretario (leghista) Edoardo Rixi. Anche il segretario della Lega Salvini afferma con decisione che «bisogna andare avanti».

Non è solo una questione politica. Sulla Tav la società e i corpi intermedi si spaccano in due. Se sono ricominciate le proteste di piazza contro l’opera (ieri in Val Susa un migliaio di persone hanno sfilato per lo stop ai lavori) i sindacati e gli imprenditori del Nord sono insorti contro il ventilato blocco, preoccupati per le conseguenze della fine di un grande cantiere che dovrebbe procurare lavoro e contribuire a far ripartire l’economia in tutto il Settentrione.

Su una vicenda spinosa come la Tav (ma anche su altre opere infrastrutturali, come il gasdotto che collega l’Azerbaigian alla Puglia) il premier Giuseppe Conte, che magari non è il dottor Tentenna ma nemmeno un decisionista, cerca di fare l’unica cosa che si può fare in questi casi per chi non è in grado di decidere: prendere tempo. Spostare «l’ora della Tav» un po’ più in là, come le lancette dell’orologio, per evitare una crisi di governo (l’eventuale blocco passa dal Parlamento, che malauguratamente ancora esiste, in attesa che venga sostituito dal «popolo della Rete» come vorrebbero Grillo e Casaleggio). Conte insomma cerca di uscire dal tunnel, ma non sarà facile, perché la questione è davvero complicata e rischia di ripercuotersi negli equilibri della maggioranza.

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