Ha insegnato a vedere
Grazie, maestro Olmi

Il 10 dicembre 2003, Ermanno Olmi fu proclamato dottore Honoris Causa in Lettere presso l’Università di Bergamo. La sera prima, con candido pudore, mi manifestò la sua preoccupazione di come essere all’altezza dell’onore che gli veniva attribuito. Durante la cerimonia, la sua Lectio Magistralis sbocciò così: «Questa mattina all’albeggiare, mia moglie si è alzata, si è affacciata alla finestra e ha detto: “Nevica...”. Per qualche istante Loredana è rimasta a contemplare la neve. La contemplazione è un momento di grande arricchimento, è fondamentale, credo, per tutto il nostro vivere. La contemplazione è il presupposto di ogni cosa».

Il suo cinema è stata la forma poetica generata dalla sua vita di contemplazione. Ermanno Olmi ha raccontato la trasformazione della condizione umana nel nostro tempo. In particolare ha raccontato le contraddizioni materiali e spirituali generate dal passaggio repentino dalla civiltà contadina alla civiltà industriale. E poi quelle generate dal passaggio ancora più travolgente alla civiltà della comunicazione globale. Ha raccontato le ambivalenze di queste trasformazioni, le regressioni contenute nel progresso, le miserie contenute nel successo, le impotenze della comunicazione nella società della comunicazione...

Il suo racconto, attraverso il suo cinema, lo ha scritto attraverso lo sguardo del poeta, motivato dall’amore per gli uomini e per la terra. Mostrandoci la nostra umanità lacerata, persa, disillusa, ha continuamente rigenerato la capacità di contemplare un futuro.

Ha messo a fuoco la nostra storia, la nostra vita, attraverso lo sguardo meraviglioso di personaggi innocenti, attoniti, stupiti, umiliati. E Batistì ne è la drammatica figura, ne «L’albero degli zoccoli». Nella scena finale del film, Batistì apre una breccia nella nostra coscienza, mentre a causa di una disobbedienza al padrone carica le sue povere cose su un carro per partire, sradicato dalla terra e dal futuro, e mentre Minek, il bambino, pare assentarsi dal dramma, chinato sui libri di scuola... L’albero degli zoccoli rimane il più straordinario poema che il cinema abbia mai dedicato alla civiltà contadina. Opera di conoscenza e di amore. Fu consacrato nel 1978 a Cannes con la Palma d’oro, a riconoscimento del valore universale del suo cinema.

Olmi ha raccontato storie, ha dipinto paesaggi, ha fatto parlare volti e ha usato lingue, perfino dialetti, profondamente radicati nella vita quotidiana di uomini e donne di luoghi particolari. E ha nel contempo mostrato il valore universale di questo particolare. In tempi come i nostri, di ottusi ed egoistici localismi e di universalismi banalmente omologanti e mercantili, la poesia di Olmi testimonia un’altra possibilità, concreta, per il futuro della civiltà globale. L’occhio di Olmi, con fulminei lampi, rende visibili le tinte fosche della fine, nelle vicende umane: la fine di un mondo, la fine di un amore, la fine di una vita... Attraverso i gesti e i volti dei suoi personaggi, ci fa provare e condividere il sentimento della perdita di un mondo e la difficoltà di ritrovare un senso... Ma l’occhio di Olmi è sempre stato anche capace di rendere visibile l’invisibile aurora di una nuova vita, di una nuova speranza...

Nella sua lezione, rivolgendosi agli studenti, si domandò: «Cosa serve a un giovane? La possibilità di sognare, ed il sogno cos’è se non la contemplazione di un possibile futuro?». Attraverso il suo sostare nel tempo profondo della contemplazione, Olmi ha reso visibile il miracolo della vita che si rigenera nei giorni di questa nostra terra. Il miracolo di una vita sempre in pericolo, improbabile, oggi minacciata da inedite armi di distruzione totale e da un sonnambulismo incosciente e incapace di contemplare un futuro. Ma è proprio nel momento del più grave pericolo, annidato nel cuore steso della nostra trionfante civiltà, che lo sguardo poetico di Olmi ha consentito di illuminare la realtà.

Aveva detto: «Non abbiamo altra scelta che l’utopia. E chissà che l’utopia, come atto di fede, non rallenti in qualche modo il disastro». La sua concreta utopia è stata quella del salmista: nella sua opera, nella sua vita, misericordia e verità si sono incontrate. E quel giorno, a Bergamo, così concluse la sua meditazione: «Auguro a tutti voi che la contemplazione di ciò che è davanti al nostro sguardo ci dia un motivo d’amore per esprimere, in termini di lettere o in altri termini, la nostra gioia di vivere». Grazie, Maestro.

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