I ragazzi chiusi
in gusci virtuali

Qualche mese fa ad un’ottantina di studenti di una terza media del Mantovano è stata fatta questa proposta: provate a stare 48 ore a cellulare spento. Erano stati due professori coraggiosi, d’accordo con i genitori, a lanciare questa sfida, che ha incuriosito una parte dei ragazzi e ha trovato un po’ indisposti un’altra metà. Però tutti hanno accettato di passare in questo «tunnel» per documentare, alla fine dell’esperienza, in che modo hanno riempito il tempo «liberato» dal rapporto così spesso compulsivo con lo smartphone.

Ebbene, la maggior parte del «tempo liberato» è stato dedicato, a detta dei ragazzi, al rapporto con gli amici: uscire insieme, andare a trovarli. Un’esperienza che è stata vissuta come positiva e anche sorprendente. Poi naturalmente i cellulari si sono riaccesi e sarebbe interessante capire se quelle 48 ore hanno modificato i loro comportamenti. Quell’esperienza comunque ci rivela una verità paradossale: uno strumento la cui funzione è quella di tenere in collegamento le persone, in realtà finisce con il diventare una barriera alle relazioni. Lo smartphone, nonostante tutte le infinite ramificazioni social che si dipartono da quel piccolo schermo, alla fine si rivela un guscio che si richiude sulla vita dei ragazzi producendo un grande senso di solitudine. Gli episodi che hanno fatto drammaticamente breccia nelle cronache di questi giorni ci raccontano di giovani vite che si sono perse dentro quel guscio virtuale che ha fatto perdere loro i contatti con la realtà: al fondo del fenomeno dell’«extreme selfie» infatti ci sta la percezione che, come in un videogioco, alla fine tutto venga resettato e si possa ricominciare come nulla fosse. Così si può arrivare, con molta inconsapevolezza, all’autosoffocamento in diretta online o a precipitare in un condotto dell’areazione di un grande centro commerciale per scattare un selfie in grado di «bucare» nella rete.

Un tasso più o meno elevato di irragionevolezza è qualcosa che contraddistingue la giovinezza da che mondo e mondo. E quindi si può pensare che oggi l’irragionevolezza transiti proprio attraverso questo strumento che accompagna la vita di un ragazzo 24 ore su 24, come dimostrano i risultati dello studio dell’Osservatorio sulla comunicazione adolescenziale tra reale e virtuale di Bergamo, di cui si parla all’interno del giornale. L’aspetto inedito più preoccupante è invece un altro, come evidenziato dall’esperienza dei ragazzi della scuola mantovana: lo smartphone crea mondi chiusi, favorisce esperienze solipsistiche. Ci si specchia nel cellulare attraverso i selfie, cercando un consenso che non ha altra forma che un like. Come ha rivelato una ricerca realizzata da Giuseppe Riva, docente in Psicologia della Comunicazione all’Università Cattolica, uno dei paradossi a cui stiamo assistendo è che il numero degli amici veri per ciascun ragazzo si è ridotto nel tempo a dispetto della crescita esponenziale ed esagerata dei contatti virtuali. Quante volte ci è accaduto di assistere in pizzeria a gruppi di ragazzi che chattano con altri invece che conversare tra di loro? Questa progressiva perdita delle relazioni reali produce fragilità. E dalla fragilità ci si protegge chiudendosi nel guscio del mondo virtuale. Le dinamiche social, paradossalmente, sono tutto meno che social: sterilizzano le relazioni, le ingabbiano dentro meccanismi di consenso superficiale. Così lo smartphone da strumento che promette libertà di connessioni a 360 gradi si rivela alla fine una prigione dalle sbarre invisibili.

E un genitore cosa può fare davanti ad un fenomeno che sembra impossibile gestire attraverso controlli o imponendo regole? È la domanda che assilla padri e madri e per la quale non ci sono ricette, se non quella, semplice, di stanare i ragazzi proponendo loro esperienze affascinanti nella vita reale. Mi raccontava un preside di una grande scuola della periferia milanese, che per distogliere i suoi ragazzi dall’uso compulsivo del cellulare, anziché agire per proibizioni aveva provato a dotare la scuola di un forno proponendo laboratori creativi con la creta. I cellulari rimanevano per tutto il tempo in un armadietto, perché con le mani sporche era dannoso usarli. Alla fine tante volte capitava che i ragazzi uscissero dimenticandoseli nell’armadietto. La realtà offre tante buone carte per liberare i nostri ragazzi dalla gabbia del virtuale…Dobbiamo convincercene e abituarci a giocarle.

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