Il governo traballa
Pd a rischio scissione

Sarebbe improprio trarre un significato politico generale dalle elezioni comunali siciliane svoltesi domenica. Troppo frammentaria la situazione isolana, troppo diverse le identità di campanile, persino troppa la disinvolta trasversalità delle liste. Chi si aspettava un exploit della Lega forse dimentica che solo fino a qualche tempo fa per i siciliani i leghisti erano solo quelli che allo stadio gridavano «Forza Etna». Con questo retaggio, l’8-10 per cento raccolto da Salvini è quasi un miracolo. Quello che invece colpisce è l’ennesimo crollo

del Movimento Cinque Stelle. Il partito di Di Maio viene punito soprattutto dove governa: a Bagheria l’anno scorso aveva il 38 per cento, è precipitato al 9 e ha perso il (discusso) sindaco. A Gela stesso discorso. A Caltanissetta e a Castelvetrano, dove hanno acciuffato il ballottaggio, i candidati grillini verranno battuti da quelli del centrodestra che già oggi hanno il doppio dei loro voti.

Tra quindici giorni tireremo le somme e racconteremo un panorama di macerie, esattamente come si è fatto per l’Abruzzo, per la Sardegna e la Basilicata e per tutte le altre consultazioni locali che si sono susseguite da un anno a questa parte, cioè dal voto del 4 aprile 2018 dove pure i seguaci di Grillo hanno conquistato la palma di primo partito italiano.

La spinta al cambiamento del M5S nelle comunità locali si sta sostanzialmente arenando in particolare laddove i grillini gestiscono il potere: non vale solo per Roma o Livorno ma anche per Bagheria. La prova del governo e dell’amministrazione, che implica capacità di compromesso ma anche di decisione e di conoscenza, si sta rivelando devastante per gli «straordinari ragazzi». Vedremo se e in che misura questo stesso esito avranno le elezioni di fine maggio per il Parlamento europeo: i sondaggi ci dicono di sì, con livelli di oscillazioni in basso o in alto che possono portare il M5S un po’ sopra o un po’ sotto il partito democratico.

Zingaretti naturalmente si augura di conquistare il secondo posto per poter aprire una fase del tutto nuova della legislatura, quella in cui il governo giallo-verde viene terremotato proprio dai risultati delle europee. A questo proposito un’intervista dell’ex ministro Delrio ha fatto venire alla luce un’ipotesi di cui molto si discute, anche su queste colonne: la possibilità cioè che la crisi del governo tra leghisti e grillini porti questi ultimi a riaprire il forno del Pd. Un’alleanza Pd-M5S in nome del «no alla destra, no al sovranismo, no al razzismo xenofobo», ecc. ecc. Insomma, un no a Salvini e al suo partito del trenta per cento e oltre.

Delrio ha gettato il sasso, Di Maio non lo ha raccolto e ha risposto con una superbia («Prima il Pd si redima») che sa molto di teatro. Idem Zingaretti che ha parlato di «tempesta in un bicchiere d’acqua». I giochi veri si faranno dopo il voto, naturalmente, anche se forse proprio Di Maio si è lasciato sfuggire l’occasione di prendersi un vantaggio sulla Lega giocando di sponda con i democratici sui temi indicati da Delrio (come il salario minimo). Tattiche, insomma. Che tuttavia fanno capire bene quale situazione ci aspetta dopo il 26 maggio: un governo che traballa per il previsto rovesciamento dei rapporti di forza e un’opposizione che potrebbe tentare di rientrare in gioco pur correndo il rischio (il Pd) di una scissione. Di fatto una situazione di grandissima incertezza. Che coinciderà con le decisioni cruciali da prendere sui conti pubblici e l’economia.

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