Il Natale dei poveri
tra legge e carità

Proviamo a leggere due fatti di cronaca (uno di questi giorni, l’altro di qualche mese fa) in modo agnostico e freddo, senza cioè farci condizionare da sentimenti di solidarietà umana né dalla carità cristiana (per quello che ne resta….). A inizio settimana ha fatto discutere una notizia arrivata da Como. Il sindaco Mario Landriscina (centrodestra) ha emesso un’ordinanza della durata di 45 giorni che vieta «di mendicare in forma statica o dinamica» (è scritto proprio così, ricorrendo al gergo tecnico-ingegneristico) nel centro della città. Per chi sgarra sono previste sanzioni da 50 a 300 euro con il «sequestro cautelare e la confisca dei mezzi utilizzati per commettere la violazione», cioè cappelli o cestini per la raccolta di monete. I vigili comaschi hanno quindi impedito a un gruppo di volontari la distribuzione della colazione ai senzatetto che trascorrono la notte davanti alla ex chiesa di San Francesco.

Il sindaco ha poi precisato che l’attività dei volontari non è vietata, ma il centro della città non è il luogo idoneo per svolgerla: c’è il decoro da difendere, degli spazi pubblici dello shopping pre natalizio, non dei mendicanti. Da notare che queste persone sono in prevalenza italianissime, vite deragliate per la perdita del lavoro e/o per legami familiari saltati.

Nella scorsa primavera invece il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano (Pd) emise il divieto di distribuire cibo ai migranti, da parte di singoli o di associazioni. La città ligure è uno snodo per gli stranieri che, sbarcati sulle nostre coste, cercano di raggiungere la Francia attraversando le montagne o lungo la costa. Il divieto fu motivato dal fatto che c’era un riferimento al quale i migranti potevano rivolgersi: il campo d’accoglienza della Croce Rossa. Divieto che fu poi revocato quando il campo non fu più in grado di sfamare tutti i migranti. Ma restava la ferita di quella norma, che vietava di compiere gesti di solidarietà umana spontanei verso chi non ha da mangiare. A Trieste invece il Comune ha tappezzato i muri della città con manifesti che ammoniscono: «Fare l’elemosina per strada arricchisce solo le attività illecite». La Giunta triestina ha poi precisato di non avere le prove dell’esistenza di un racket «perché se ci fosse vi sarebbero indagini in corso e quindi non ne potremmo parlare».

L’invito a uno sguardo agnostico su queste vicende serve a cercare la risposta a una domanda: qual è l’efficacia di queste ordinanze e disposizioni, se non di spostare il problema da un luogo ad un altro, da una città ad un’altra? Queste iniziative sono spesso demagogiche e velleitarie, puntando a rassicurare l’opinione pubblica con il vanto del pugno duro, ma andrebbero valutate dagli esiti. Problemi gravi come la marginalità non possono essere risolti da semplici documenti in un linguaggio che talvolta rasenta il ridicolo. Bisogna andare invece alla radice dei problemi coinvolgendo le realtà del volontariato e in generale del Terzo Settore che quotidianamente si sporcano le mani con i poveri, in opere difficili e faticose perché il rapporto con le persone che vivono ai margini non è facile. Non a caso il sindaco di Como ha poi annunciato un «tavolo di confronto» con le associazioni che assistono i senzatetto. Ma c’è anche chi pur avendo un tetto vive nell’indigenza. A Milano, che ha il reddito pro capite tra i più alti d’Italia, ci sono 19.700 bambini (il 10% del totale) in condizioni di povertà assoluta. La Fondazione Cariplo ha messo in campo un progetto triennale di 25 milioni che valorizza proprio l’integrazione fra gli enti non profit (ma anche aziende private) che si occupano di questa piaga. Siamo alle porte del Natale. In questa ricorrenza centrale del cristianesimo vale forse la pena ricordare che la prima delle sette opere di misericordia corporale è dar da mangiare agli affamati.

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