Il pericolo di un’altra
crisi finanziaria

La crisi finanziaria, che partita dagli Usa nel 2007 ha colpito a lungo le economie di tutto il mondo, è stata determinata dall’eccesso di debiti - in particolare attraverso le operazioni di mutui ad alto rischio (subprime) - nonché dall’abnorme espansione di operazioni finanziarie speculative. Tra queste operazioni hanno avuto particolare espansione i derivati over the counter (otc), che vengono acquistati e venduti al di fuori dei mercati regolamentati e le cui caratteristiche non sono standardizzate e definite dall’autorità di controllo.

Scoppiata la crisi Barak Obama, dopo aver fatto fronte con risorse pubbliche alle insolvenze delle principali banche americane, fece approvare nel 2010 un’importante legge - «Dodd-Frank» - che fissava un limite per le operazioni in derivati otc, imponendo norme di trasparenza, di garanzia e di copertura alle grandi banche (too big to fail). Dopo tre anni di applicazione della legge, la Commodity futures trading commission (Cftc) è dovuta intervenire per raccomandare alle grandi banche di non eludere detta normativa, valida solo sul territorio nazionale, effettuando contratti in derivati otc presso le filiali estere. Di ciò la grandi banche non hanno tenuto alcun conto.

Tra queste per prima la Goldman Sachs, ben nota per la sua attitudine alla finanza speculativa, ha chiesto ai propri clienti l’autorizzazione ad effettuare operazioni in derivati otc presso le proprie filiali estere. A seguito di queste attività, a fine 2017 il complesso delle operazioni in derivati otc è tornato ai livelli del 2007, superando i 530 trilioni di dollari.

Nei giorni scorsi il «Wall Street Journal» ha lanciato l’allarme sulla particolare crescita smisurata dei derivati-swaps sui tassi di interesse, uno dei più moderni strumenti per la copertura dei rischi. È stato calcolato che ne vengono scambiati ogni giorno per un valore di 1,28 trilioni di dollari. Un campanello d’allarme è rappresentato anche dal notevole aumento del debito di famiglie e imprese. La rivista «Fortune» ha riferito che i crediti dei consumatori, privi di ipoteche, hanno raggiunto i 4 trilioni di dollari, con una crescita del 45% rispetto al 2008. Il debito contratto con carte di credito ha raggiunto il trilione di dollari e notevolmente cresciuta è anche l’esposizione delle imprese industriali, che alla fine del 2007 risultava pari al 96% del Pil nazionale. Sempre secondo il «Wall Street Journal», il debito degli studenti contratto per finanziare gli studi e che dovrà essere restituito durante la vita lavorativa, è aumentato in 10 anni del 170%, raggiungendo il livello di 1,4 trilioni di dollari. Altrettanto sostenuta è la crescita dei debiti contratti per l’acquisto di auto. In presenza di questa situazione, alcuni operatori economici e finanziari Usa hanno lanciato l’allarme, ricordando che si stanno evidenziando situazioni simili a quelle che hanno provocato, a partire dal 2007, l’ultima pesantissima crisi. Si è oggi, infatti, di fronte ad un eccesso di indebitamento, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, e ad una crescita esponenziale della finanza speculativa, con investimenti prevalentemente concentrati in una singola tipologia operativa, i derivati otc. È abbastanza evidente che sarebbe opportuna un’azione congiunta delle autorità governative e di controllo statunitensi le quali, partendo da una revisione della legge Dodd-Frank, impedendone l’elusione, creassero tutte le condizioni necessarie a fronteggiare l’attuale situazione, evitando ai mercati conseguenze ancor più gravi rispetto a quelle causate dall’ultima crisi. Per il momento, però, il presidente Trump sembrerebbe non tenere in alcuna considerazione questi problemi, focalizzando pesantemente gran parte della propria azione politica nell’applicazione di dazi che stanno sempre più snaturando la tradizionale vocazione americana al libero mercato.

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