Il popolo sovrano
ma ci sono dei limiti

Il martellamento di slogan politici che scavano nell’inconscio dei potenziali elettori, l’onnipotenza comunicativa di Internet e l’impoverimento del livello culturale medio hanno gradualmente contribuito al diffondersi dell’idea che tutto ciò che è deciso dal popolo sia buono e giusto. In questi giorni di convulse e spesso caotiche analisi post elettorali, il termine populismo è inevitabilmente divenuto uno dei più ricorrenti. Al populismo, infatti, si riporta tanto la vittoria politica al Nord della Lega di Salvini, che si è concentrata sulle paure della popolazione rispetto ai problemi dell’immigrazione e della sicurezza, quanto quella dei 5 Stelle al Sud dove, soprattutto attraverso la promessa del reddito di cittadinanza, sono state intercettate diffuse esigenze popolari di sopravvivenza economica.

Ciò evidenzia ancora una volta quanto condizioni ideali per l’attecchimento e lo sviluppo del populismo siano prevalentemente situazioni di crisi sociali ed economiche, nonché una profonda sfiducia verso l’operato delle forze politiche. Non è un caso che la storia ci presenti il nostro Paese come un laboratorio di varie forme di populismo. Il qualunquismo di Giannini dell’immediato dopoguerra, il laurismo di Achille Lauro degli anni Cinquanta, alcuni aspetti del radicalismo pannelliano, i movimenti studenteschi del Sessantotto, la rete di Orlando, in qualche misura il dipietrismo e il berlusconismo, fino alla Lega di Salvini, alla predicazione di Bebbe Grillo e alla comunicazione politica portata avanti dai 5 Stelle. Tutti esempi, questi, in cui il populismo non rappresenta un fattore di logoramento dei sistemi politici democratici, quanto piuttosto un prodotto delle loro insufficienze ed una conseguenza del manifestarsi di vere e proprie aberrazioni della democrazia, di cui oggi troviamo ampie tracce.

Tempo fa Piero Angela fu oggetto di aspri attacchi sui social per aver affermato che «la scienza non è democratica». Il giornalista giudicò quelle accuse come il frutto di un preoccupante degrado culturale e ricordò che Galileo Galilei se fosse oggi tra noi ci farebbe capire che non si può decidere per alzata di mano o con le consultazioni online se la Terra è rotonda o no. Un altro esempio di concezione caricaturale della democrazia lo riscontriamo nel caso dei vaccini. In tanti affermano di non essere contrari ai vaccini, ma che sia antidemocratico imporne la somministrazione perché «la salute è mia e decido io». Un atteggiamento antiscientifico, ipocritamente mascherato sotto la veste di un diritto. Eppure, i dati del Ministero ci dicono che in Italia si muore ancora di morbillo (4 casi nel 2017) e che da poche centinaia di ammalati degli anni scorsi si è passati a oltre cinquemila. Molti richiami a improponibili forme di democrazia sono stati fatti nel corso della recente campagna elettorale auspicando, ad esempio, che fosse opportuno far decidere al popolo il livello della tassazione. Non a caso, i Padri costituenti hanno vietato la possibilità d’indire referendum in materia fiscale, consapevoli che decisioni popolari di stretta convenienza personale potrebbero contraddire gli interessi generali. Pericolose forme di pseudo democrazia si vanno diffondendo anche nel campo del diritto. Nei «processi in tv», così apprezzati dal pubblico, si diffonde l’idea che le sentenze giuste siano quelle decise per alzata di mano e che la verità possa essere accertata solo attraverso lo «share» del personaggio in trasmissione. Seguendo questa tendenza Ponzio Pilato, protagonista del più famoso processo della storia, farebbe la sua bella figura in un talk show. Perché la sua «non scelta», rimettendo al popolo la decisione di lasciare libero Gesù o Barabba, lo farebbe apprezzare come un conduttore autenticamente democratico, al di sopra delle parti. E il popolo decise.

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