Il premier col turbo
lancia la crescita

Con l’intervento di Renzi alla «Persico» di Nembro, la politica economica del governo annuncia una nuova fase: misure che cercano di cambiare il verso dei precedenti esecutivi, con l’obiettivo della crescita e di creare un ambiente favorevole all’occupazione. L’Italia, a differenza della Francia socialista, rispetta i vincoli europei (il 3% del rapporto deficit-Pil), ma alza le previsioni del disavanzo dal 2,2% al 2,9% fino alla soglia del consentito.

Significa che la Legge di stabilità, cioè la manovra finanziaria, si avvicina al tetto oltre il quale non è possibile andare, nel segno dello sviluppo. Ci saranno, insomma, misure espansive, almeno in teoria, che rappresentano una discontinuità rispetto all’ultimo decennio. Il premier, nel parterre confindustriale, ha trovato un partner disponibile a collaborare, perché il mondo produttivo vede in Renzi l’ultima risorsa per salvare un Paese stagnante e irriformabile, ma pone domande esigenti e concrete: il capo del governo è atteso al riscontro dei fatti, ritenuti finora al di sotto delle attese, e all’attendibilità delle cifre.

Nel privilegiare la parte costruttiva e positiva, tesa alla collaborazione, Renzi s’è riproposto con il turbo e con il caterpillar: se i suoi oppositori interni, i vari Civati e Fassina, sono ancora impegnati a decifrare il nuovo articolo 18, l’uomo solo al comando costringe gli avversari a inseguirlo sorpassandoli a destra e a sinistra. Niente articolo 18 nel discorso del premier, se non un cenno per dire che è soltanto una parte della questione complessiva, ma un approccio contiguo a quello degli industriali: ha detto quel che Confindustria s’aspettava dicesse.

La sensazione è che l’industria continui ad aver fiducia in Renzi, e nella sua rottura con il passato, e che l’interessato, ritenendo non più riassorbibile il dissenso della Cgil e della minoranza democrat, cerchi una sponda nella parte produttiva del Paese. La Legge di stabilità che sarà varata domani dal governo, mentre oggi il Parlamento approva la cornice contabile con la Nota di aggiornamento del Documento economico finanziario, ha due elementi che incontrano sia le richieste di Confindustria sia quelle della sinistra: il sostanziale abbattimento dell’Irap sulla componente lavoro con una riduzione fiscale di 6 miliardi e mezzo e gli incentivi triennali per chi assume a tempo indeterminato. Osservate la duplice azione che punta sulla stabilità del lavoro: da un lato il sostegno all’impresa, dall’altro l’impegno a rendere vantaggiosa l’occupazione duratura.

Nel quadro di una manovra più pesante del previsto (30 miliardi quando fino a ieri si parlava di 20-22), ci sarà un taglio di 18 miliardi di tasse e una spending review di 16 miliardi: questi sono i conti annunciati, ma bisogna vedere se sarà proprio così. Il primo aspetto è che, al di là delle intenzioni riformiste del governo, in Parlamento la manovra finanziaria, prima dell’approvazione a fine anno, solitamente viene stravolta in modo peggiorativo e strada facendo si dovrà osservare fin dove si spingeranno le varie opposizioni (Grillo, Lega e Forza Italia) e la guerriglia a bassa intensità della sinistra Pd. Il secondo aspetto riguarda il Patto di stabilità, che – lo ha ribadito Maroni – costringe gli enti locali a non poter utilizzare le risorse del territorio. Renzi ne ha convenuto, ma non si può usare il bisturi perché c’è un problema di credibilità verso l’Europa e i mercati. Si può solo alleggerire la stretta, liberando un miliardo. Una boccata d’ossigeno, certo, che interessa solo gli investimenti, mentre sulla spesa corrente (i servizi garantiti da Regioni, Province e Comuni) è in arrivo la scure. Come si vede, non sarà una passeggiata. Val la pena, però, provare insieme a «scegliere di cambiare».

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