Il premier Conte
a rischio isolamento

Il governo traballa ma non cade. Almeno non ora. Traballa sotto il peso della campagna elettorale dei partiti cosiddetti «alleati» che hanno preso in ostaggio la legge di Bilancio (elaborata a via XX Settembre con la benedizione del governatore della Banca d’Italia Vincenzo Visco) per conservare o aumentare i voti, per il momento soprattutto in vista delle elezioni regionali a cominciare da quelle in Umbria. E così sia Matteo Renzi che Luigi Di Maio strattonano Conte perché rispetti le loro pressanti esigenze
senza discutere troppo,e quando quest’ultimo reagisce con un tono da leader («Chi non fa lavoro di squadra è fuori del governo») quale egli crede di essere pur non avendo un esercito al seguito, Di Maio lo richiama bruscamente all’ordine ricordandogli che siede ancora su quella poltrona di Palazzo Chigi perché il Movimento ce l’ha messo e se la vuole conservare deve «ascoltare» i suoi benefattori.

«Senza di noi non c’è il governo» continua a ripetere Di Maio, anche se minacce di questo genere – fatte da lui o dai renziani – sono piuttosto vuote: le elezioni anticipate sarebbero l’unica possibile soluzione a una eventuale nuova crisi di governo ma quelle elezioni farebbero comodo solo a Salvini e a Giorgia Meloni che le vincerebbero, e non ai grillini (che subirebbero una scoppola simile a quelle delle ultime Europee) e nemmeno a Italia Viva che ancora si appoggia su un consenso minimo, intorno al 4 per cento.

Dunque, come dicevamo, il governo traballa ma non cade. Solo che comincia a non sapere come andare avanti: la legge di Bilancio, messa nero su bianco dal ministro piddino Gualtieri in accordo con la Commissione europea, la Banca d’Italia e probabilmente il Quirinale, non piace né a Italia Viva né a M5S. Per svariati motivi. Primo, perché il testo così com’è scontenta la bellezza di due milioni di partite Iva che si erano appena abituate a un regime semplificato e a una tassazione al 15 per cento e che adesso si vedono minacciate dalle forbici del Tesoro che vuole riprendersi tutti i vantaggi elargiti a suo tempo dal governo giallo-verde su richiesta di Salvini. Tagliare le unghie alla Ragioneria generale non è facile per nessuno, però su questo grillini e renziani non vogliono rischiare. Inoltre Di Maio pretende, a nome dell’anima giustizialista del movimento, un più chiaro impegno per sbattere in galera gli evasori sopra i 100mila euro e sente odore di svicolamento. Il suo ministro della Giustizia Bonafede annuncia che è pronto l’apposito provvedimento ma non c’è certezza che riceva il sufficiente consenso. Da un altro punto di vista Renzi chiede che si rinunci alle mille gabelle di cui è piena la bozza della legge di Bilancio 2020 (tipo la sugar tax o l’aumento dell’imposizione sugli affitti) e non si dia l’impressione di perseguitare gli italiani onesti che pagano le tasse. «Che male vi hanno fatto quelli del ceto medio?» ha chiesto Renzi nel suo discorso alla Leopolda ai suoi ex compagni di partito, il Pd, liquidato sbrigativamente come il «partito delle tasse». Zingaretti naturalmente non ha gradito e ha risposto con la stessa verve polemica. Ma il Pd finisce, in questo gioco di ultimatum e penultimatum, per fare il partito «responsabile» che è poi quello che riceve critiche da tutte le parti. È ormai chiaro che Conte si sta appoggiando più sui democratici che sugli altri alleati pur di far passare una legge di Bilancio che riceva l’approvazione di Bruxelles e non smuova le paure dei mercati finanziari. Ma il Pd non è il suo partito e dunque il rischio che il presidente del Consiglio sta correndo è quello di rimanere isolato e indebolito.

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