Il tetto al 5 per mille, una doppia beffa
per non profit e cittadini

Prima il raddoppio dell’Ires, l’imposta sul reddito delle società, al 24%, per fortuna disinnescato da un emendamento alla Manovra, caldeggiato anche dal presidente Mattarella. Poi l’equiparazione delle associazioni a partiti, se includono nel direttivo chi ha svolto politica ad ogni livello fino a dieci anni fa, con annessi vincoli e controlli, prevista dalla legge «Spazzacorrotti». Quindi l’annuncio di una commissione d’inchiesta parlamentare sulle case famiglia, per stanare chi deliberatamente toglierebbe i bambini ai genitori per mantenere le attività. Accusa grave, come del resto quella di essere in combutta con i trafficanti d’uomini rivolta alle ong che salvano migranti nel Mediterraneo.

Non si può dire che il rapporto tra il governo gialloverde e il mondo del non profit sia all’insegna della fiducia e del sostegno, ma semmai di un sospetto malcelato. In Italia questo mondo è composto da oltre 336 mila realtà (l’11,6% in più rispetto al 2011), 5 milioni di volontari e 800 mila occupati. Nella Bergamasca gli enti ufficiali secondo l’ultimo rapporto Istat sono 3 mila e centomila i volontari. Solo gli alpini nella nostra terra hanno svolto l’anno scorso 279 mila ore di volontariato per un valore di quasi 8 milioni di euro.

Il non profit conviene allo Stato, perché svolge servizi di qualità, fa risparmiare ed è anche creatore di comunità sociali. Una delle fonti di sostegno degli enti è il 5 per mille delle dichiarazioni dei redditi. Non solo è in espansione il Terzo Settore (composto da organizzazioni non riconducibili né allo Stato né al mercato) che pratica l’economia civile ma anche il sostegno privato attraverso donazioni e, appunto, il 5 per mille. Secondo l’Agenzia delle entrate, i contributi dei cittadini con questa formula nel 2017 hanno superato i 500 milioni di euro, grazie a 16,5 milioni di firme per 65 mila organizzazioni destinatarie del contributo. Nel 2006 le firme furono 6 milioni. Un grande segno di fiducia da parte degli italiani, altro che Spazzacorrotti... Ed ecco la nuova grana per il settore: nel 2017 per la prima volta è stato superato il limite dei 500 milioni di euro di raccolta stabilito per legge. Un tetto che era stato fissato dal 2010 al 2013 (allora era di 400 milioni), oltre il quale quanto destinato al non profit tornava a disposizione del bilancio statale. Ora una legge ha fissato il tetto a 500 milioni, cifra superata con il 5 per mille nel 2017, come abbiamo visto. Il cittadino firma perché la sua quota vada ad un’associazione che si occupa di assistenza sanitaria nel mondo o di cultura, e la quota finisce invece nelle casse dello Stato. Un’interrogazione parlamentare di 35 senatori chiede ai ministri Di Maio e Tria l’innalzamento delle coperture nella prossima legge di bilancio.

Ma il Terzo Settore da tempo è in attesa anche dei decreti della legge che lo riforma: sono ben 32, tra attuativi, della presidenza del Consiglio dei ministri, ministeriali, interministeriali e linee guida. Tra i decreti fermi ad esempio c’è quello che riguarda il Servizio civile universale. Si tratta di norme che danno più forza agli enti ma anche più chiarezza nel loro agire, quella chiarezza che il sospettoso governo gialloverde chiede a questo ambito. Certo di ostacoli non ne sono mancati. Il professor Stefano Zamagni, economista, presidente della Pontificia accademia per le scienze sociali, a proposito della politica governativa verso il non profit, ha parlato di «aporofobia», cioè disprezzo del povero, a partire da chi vive in strada ed è assistito proprio dalle associazioni, quando va bene in collaborazione con i Comuni. Ma il Terzo Settore si occupa di molto altro, dall’ambiente all’assistenza agli anziani. È una spina dorsale del Paese che non possiamo permetterci di indebolire, tanto più in questa precaria stagione storica.

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