L’artigianato cresciuto
ora risale la china

La buona notizia della congiuntura è che l’artigianato sta meglio. Reduce da crolli pesanti, che ne hanno minato la tenuta in profondità, il comparto simbolo del saper fare bergamasco ha chiuso il 2016 con una buona risalita della produzione: la media d’anno è più 1,5%, cui ha contribuito un netto più 2% registrato solo nell’ultimo trimestre. Certo, il bilancio positivo non cancella le fatiche con un colpo di spugna. Siamo tra le province a più alta concentrazione di artigiani, con più di 31 mila imprese attive, ovvero oltreun terzo del totale, ma negli ultimi tempi parecchie hanno dovuto abbassare la saracinesca.

L’emorragia è continuata anche nell’anno appena trascorso, che ha lasciato sul campo altre 328 realtà. Alla luce di questo trend negativo, assume però ancora maggior valore il risultato raggiunto in termini di produzione: una base di imprese smagrita dai duri colpi della crisi è riuscita a migliorare le sue performance. È la conferma che ci troviamo di fronte a un artigianato cresciuto, per meriti propri senz’altro e anche del sistema delle associazioni di categoria che in questi anni di tempesta hanno investito molto per accompagnare le imprese e aiutarle a navigare verso orizzonti più ampi. Ne sta emergendo un artigianato più strutturato, capace di misurarsi con sfide che vanno oltre i vecchi meccanismi della produzione e vendita in un raggio ristretto dalla propria bottega. Aumentano gli artigiani che esportano, anche se il tema è fra i più complessi da affrontare per chi ha strutture piccole che devono fare tutto. Aumentano anche gli artigiani che sbarcano sul web o quantomeno si interrogano sul commercio digitale e si attrezzano per avvicinarsi senza scottarsi. Il progetto che ha portato 34 pionieri bergamaschi nella vetrina del made in Italy su Amazon, e che continua a raccogliere un interesse crescente fra gli addetti ai lavori, va in questa direzione e parla di un mondo artigiano vivace, che al solido saper fare di sempre sta affiancando una nuova intelligenza commerciale. Che di sicuro avrà bisogno di crescere ancora, trainata dall’apertura al mondo e alla tecnologia di una generazione di artigiani giovani e magari da qualche misura di incoraggiamento. Parlando con falegnami o carpentieri, non mancheranno lamentele sulla pressione fiscale, sugli adempimenti burocratici, vedi lo spesometro a cadenza trimestrale anziché annuale, o sulle tensioni finanziarie non ancora stemperate, con la catena dei pagamenti che spesso stenta non solo con la pubblica amministrazione ma anche tra imprese private.

Per ora teniamoci comunque stretti i buoni risultati 2016 dell’artigianato e di tutto il sistema Bergamo, per guardare con fiducia al nuovo anno, che pure non si preannuncia una passeggiata. L’incertezza e la turbolenza restano due variabili ormai costanti sui mercati e, allargando lo sguardo all’industria, appare tutt’altro che di buon auspicio la frenata degli ordini dall’estero: nel quarto trimestre sono aumentati solo dell’1,2%, contro gli incrementi fra il 6 e il 7% dei periodi precedenti, bilanciati solo in parte dal graduale risveglio del mercato interno, che dopo anni sembra ritrovare piano piano l’intonazione giusta. In attesa di vedere qualche passo avanti più deciso anche sul fronte lavoro, per l’industria conforta la serie positiva dei livelli produttivi: siamo al quinto trimestre consecutivo di incremento, ora più accentuato ora più contenuto, ma comunque fuori dalle sacche della recessione. L’indice della produzione è più vicino a 100 che alla terrificante quota 85-86 toccata nel durissimo 2009. Se si aggiunge che anche il commercio, in controtendenza rispetto alla Lombardia, è in territorio positivo, c’è qualche motivo in più per sorridere e confidare che gli sforzi fatti in questi anni per sopravvivere e cambiare pelle non siano stati e non saranno vani.

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