L’ascesa di Macron
in un’Europa debole

Sono tre i fenomeni che caratterizzano il nostro tempo: l’accelerazione del cambiamento tecnologico, l’apertura alla concorrenza dei Paesi a basso costo di manodopera, la migrazione incontrollata per ragioni economiche. Il riflesso sulla nostra società di questi mutamenti ha generato la riduzione dei redditi, la disoccupazione crescente, la destrutturazione del ceto medio e un generale senso di sconforto.Quanto basta per generare un terremoto sociale. Nasce un bisogno profondo di certezze che cerca soddisfazione.

Questo spiega il repentino successo di Matteo Renzi al suo ingresso nell’agone politico nazionale nel 2013. Ha dato voce al disagio della società italiana e ha riscosso consensi non a caso in tutti gli schieramenti. La novità sta nel ruolo della persona, quello che nei partiti comunisti viene definito come culto della personalità. Ma questi sono appunto i tempi. L’’incertezza chiama certezze e nel dubbio vale la figura se non carismatica, quanto meno dall’appeal contagioso.

È stata la prima volta per un partito dell’establishment. L’Europa è attraversata in lungo e in largo da movimenti di protesta che però hanno in comune il fatto di essere formazioni nuove in chiara contrapposizione ai partiti tradizionali. Se il Front National in Francia vanta ascendenze che risalgono al padre fondatore è anche vero che ad esso si contrappongono i partiti della continuità, quelli che hanno segnato la politica francese da De Gaulle in poi. Emmanuel Macron stesso ha fondato un partito a sua misura. Ma con Renzi no, restiamo nel solco tradizionale di un partito storico nella sua evoluzione dal dopoguerra in poi . E questo è probabilmente il suo grande merito e il suo maggior problema. L’Europa non è l’America. Trump è Trump e nessuno si sogna di dire che il nuovo presidente non sia repubblicano. Il partito che già fu di Bush, junior e senior, di Nixon, di Eisenhower volentieri lo sacrificherebbe con un candidato meno di rottura ma si adegua al volere dell’elettorato.

Per restare in Italia Berlusconi sulle ceneri della Democrazia Cristiana ha costruito il suo potere con una formazione politica che può cambiare denominazione secondo le esigenze del momento con una sola certezza: quella del suo fondatore.

Un lusso che Matteo Renzi non ha potuto o voluto permettersi ed è quindi caduto nel costante tentativo di delegittimazione di chi militiva nello stesso partito e dissentiva dalla politica del segretario in carica. Il social liberale Tony Blair ha portato avanti la politica di Margaret Thatcher nelle file del partito laburista. Dopo aver sconfitto l’ala sinistra e il suo sostegno al sindacato nessuno ha osato boicottarlo.

Perché chi vince, ha vinto e si rispetta la decisione. Ma questo è appunto il costume anglosassone delle scelte nette che diventano contrattabili solo a scadenza elettorale. L’Italia non è l’America. Così ora sulla scena europea Macron fa il Renzi e gli dà udienza condiscendente all’Eliseo.

È diventato la figura di riferimento nella lotta ai populismi. Si permette di interloquire nella crisi politica tedesca con il pretesto che le riforme da lui proposte sul piano europeo devono essere perseguite quanto prima. Ha il grande vantaggio sui tedeschi di non soffrire di crisi d’identità. Marine Le Pen è stata sonoramente sconfitta mentre Pegida (movimento nazionalconservatore di Dresda con venature criptonaziste) e Alternative für Deutschland hanno spostato il baricentro politico a destra. L’instabilità politica in Germania nasce da questa affermazione. Così il reuccio troneggia e l’Italia è tornata cenerentola. Nel nome dell’Europa e a tutela degli interessi della Francia.

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