Le nomine in Europa
Un magro bilancio

È il momento di tirare un bilancio nazionale dopo l’intensa e travagliata tre giorni europea dedicata alle nomine e alla procedura di infrazione contro l’Italia. Partendo da quest’ultimo punto, è chiaro che il bilancio non può che essere di soddisfazione: la Commissione ha ritirato la sua proposta di procedere contro di noi che non verrà pertanto esaminata dal prossimo Ecofin del 9 luglio. La Borsa di Milano ha brindato e lo spread è sceso sotto quota 200. Naturalmente non abbiamo scampato il pericolo di finire sotto la lente degli ispettori Ue senza pagare un prezzo.

Nessun pasto è gratis diceva qualcuno. E infatti il governo ha tirato fuori i miliardi che serviranno a riportare il deficit ai livelli concordati con la Commissione in dicembre e poi sforati: con i risparmi della manovrina e le maggiori entrate previste torniamo in riga al 2,04% sul Pil. Questo risultato va ascritto a tre persone: a Conte, a Tria e a Mattarella che li ha «coperti» dagli ukase di Salvini e, sulla scia, di Di Maio. Quello che voleva Bruxelles è stato fatto, almeno per il 2019: quanto al 2020 si sono fatte promesse che dovranno essere mantenute (anche se resta il problema della flat tax che Salvini vorrebbe già nella prossima manovra e che i commissari considerano negativamente).

Secondo bilancio, le nomine e la partita che si è giocata tra i leader intorno alle poltrone da assegnare. Premessa: noi nella precedente legislatura avevamo una posizione difficilmente ripetibile. Erano italiani il presidente del Parlamento europeo, il presidente della Bce e l’Alto rappresentante per la sicurezza e la politica estera. In nessun caso avremmo potuto conservare questa situazione. Ora infatti ci rimane solo la presidenza del Parlamento ma con un esponente, Davide Sassoli, rappresentante di un partito di opposizione in Italia e fortemente polemico con Salvini e i sovranisti in genere. Quindi questa elezione non può certo essere ascritta all’azione del governo, tant’è che Salvini l’ha commentata con parole sprezzanti. Quanto al resto, Conte porterà a casa un portafoglio economico di un certo peso, probabilmente la Concorrenza, che andrà attribuita ad un leghista. Quindi da questo punto di vista il bilancio è magro. Ma lo è soprattutto per come si è mossa l’Italia in questa partita: con varie giravolte – causate dalle pressioni che arrivavano da Roma in contemporanea con quelle che subiva al Consiglio europeo – Conte si è di fatto schierato insieme ai governi di destra dell’Est, il cosiddetto gruppo di Visegrad, contro l’asse franco-tedesco. Invece da queste nomine proprio quell’asse dell’Europa renana ne è uscito più forte che mai con la presidenza della Commissione affidata ad una tedesca e con la presidenza della Bce guidata da una francese. Le leve del comando sono lì, saldamente in mano alla Merkel (che è tornata a comandare dopo un apparente appannamento) e di Macron. Intorno all’asse Parigi-Berlino si sono ricomposti gli equilibri europei, e l’Italia non ne fa parte perché segue una diversa impostazione dettata essenzialmente dalla Lega. Popolari e socialisti continuano a dominare la scena e non cedono potere alle fazioni sovraniste dei vari Paesi che di fatto hanno sì lanciato un temibile assalto al Palazzo ma non sono riuscite a portarlo a termine: forse ci riusciranno la prossima volta, se questa gestione fallirà, ma per ora le carte continueranno a darle i tedeschi insieme ai francesi.

Non è difficile capire che per il nostro Paese ora comincia una fase in cui occorrerà riconquistare pezzo a pezzo un ruolo, anzi il ruolo che spetta ad uno Stato fondatore e industrialmente ancora forte: oggi la Spagna è molto più al centro dell’Europa di noi, e non era mai accaduto. Mantenere così gli equilibri sarebbe la dimostrazione di un declino nazionale difficilmente reversibile.

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