Leadership economica
Ma sia anche morale

A distanza di pochi mesi torna d’attualità il tema del lavoro nero nel distretto bergamasco della gomma. Come nei casi precedenti si tratta di episodi isolati, causati da imprenditori spericolati che vogliono fare margine sulla pelle dei lavoratori migranti. In realtà personaggi così non appartengono affatto alla categoria degli «imprenditori» ma a quella degli sfruttatori, che è ben altra cosa. Certo, sentire parlare di lavoro nero in un territorio che ha trainato la ripresa del lavoro vero come Bergamo fa un po’ specie. Secondo i dati resi noti poche settimane fa dall’Osservatorio sulle imprese della Camera di Commercio, gli occupati in provincia di Bergamo sono aumentati di 7.737 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con una variazione positiva del 2,1 per cento.

Sono il risultato di una capacità competitiva del territorio che ha fatto registrare una crescita superiore non solo alla media nazionale ma anche a quella regionale, con un più 2,3 per cento anno su anno. Così il tasso di disoccupazione nella Bergamasca nel primo semestre è sceso al 4,4% secondo l’ultima elaborazione camerale. Insomma, c’è una distanza difficile da spiegare tra questi dati che raccontano di un’economia sana, di un’imprenditoria capace di guadagnare quote nella competizione internazionale, e le notizie di contesti lavorativi immersi nell’illegalità.

Il fatto che questi episodi riguardino situazioni marginali non esenta dal prenderli in seria considerazione. Ci si deve chiedere perché questo accade e perché non ci sia sufficiente controllo da parte di una filiera come quella della gomma che ha fatto la fortuna del distretto del Sebino. Sono una trentina di chilometri quadrati per una decina di Comuni, tra i quali c’è Credaro dove ieri la Guardia di finanza ha scoperto nove operatori del tutto in nero, che lavoravano nelle rispettive abitazioni di Adrara San Rocco, Villongo e Castelli Calepio, pagati, a quanto pare, cinquanta centesimi all’ora. È un distretto che fattura circa due miliardi all’anno, grazie alle guarnizioni, il prodotto storico di cui questo territorio ha una leadership globale. È una filiera capace di spingere in termini di ricerca e innovazione, e che si trova all’avanguardia nella lavorazione dei polimeri con forniture che vanno dall’edilizia all’automotive, fino all’agricoltura e alla distribuzione alimentare.

Quello del lavoro nero è un fenomeno difficile da estirpare in Italia come dimostrano i dati resi noti settimana scorsa dall’Ispettorato nazionale del Lavoro: su poco più di 150 mila aziende controllate sono stati riscontrati 95.006 illeciti e sono stati scoperti 43.792 lavoratori in nero. «Come se fossero totalmente sconosciuti all’amministrazione pubblica», ha commentato il capo dell’Ispettorato Paolo Pennesi, «gli abitanti di una media città».

Il lavoro nero è una questione nazionale che purtroppo non risparmia nessun territorio. Ed è un’emergenza che può trovare paradossalmente nuovo ossigeno proprio dalla ripresa economica. La ripartenza dei consumi, ad esempio, ha messo sotto stress il sistema della logistica anche di grandi marchi che finiscono con il ricorrere al sistema opaco delle false cooperative, in grado di fornire manodopera con costi del lavoro del 30 o 40 per cento inferiori a quelli del mercato. Di fronte a questa situazione tocca proprio a territori che hanno una profonda cultura del lavoro come quello bergamasco dare segnali forti di discontinuità: a partire dal far luce su tutte le responsabilità attorno ad episodi intollerabili come quelli rivelati dalla Guardia di finanza. La leadership economica chiede anche una uguale leadership morale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA