Legge elettorale
sparita dai radar

La nuova legge elettorale è di nuovo scomparsa dall’orizzonte. Ma non era «urgentissima» già mesi fa? Il tema è rinviato a dopo il Congresso Pd, ma per il momento si ragiona come se valesse il testo della Consulta, al massimo con qualche piccolo aggiustamento. Eppure, questo è un modo certo per andare all’instabilità politica, che è fonte di gravi conseguenze economiche e sociali. L’unico interesse che si vede è quello di tutti i partiti di contarsi in modo proporzionale per poi giocare le carte di ciascuno in un ipotetico dopo.

Ma è solo miopia, perché quel dopo potrebbe essere il ritorno a governi tecnici provvisori ed elezioni a ripetizione, tipo Spagna. Ai partiti populisti, sovranisti, anti Europa, può andar bene rendere ancor più ingarbugliata la situazione, bloccando qualsiasi azione che possa rimettere ordine al sistema. Come si diceva una volta, tanto peggio tanto meglio. Più i loro avversari dimostrano incertezza, più loro guadagnano elettoralmente – per ora divisi, poi non si sa mai, magari uniti –, ed è sconcertante la previsione di un importante commentatore come Aldo Cazzullo che se la cava dicendo che è probabile che alla fine vadano a governare i grillini, ma poi dureranno solo sei mesi e arriverà il Fondo monetario internazionale...

Sulla pelle del Paese, della sua economia, del lavoro dei suoi giovani non possiamo scherzare e far dipendere il futuro prima da un rammendo della Corte Costituzionale e poi dalla severità della troika, con relativa coda ai bancomat per approvvigionarsi di euro, prima che arrivino lirette e dracme. Per ora, una maggioranza Grillo-Salvini ancora non c’è, e forse c’è tempo per evitare la paralisi del sistema tripolare, quello di tre forze equivalenti, e il fatidico 40 per cento lontano per tutti. Sarebbe comprensibile, questa inerzia sulla nuova legge elettorale, se ci fosse già un accordo politico per un nuovo bipolarismo: da una parte i moderati e i riformisti, dall’altra i populisti.

È però un’ipotesi impraticabile a priori, visto che il Pd è ancora lì a discutere se stare con Alfano o con Pisapia e dintorni (esodati ex Pd compresi) e Forza Italia cerca il recupero dell’alleanza con la Lega sperando nella quadratura del cerchio: mettere insieme l’europeismo del Ppe e il lepenismo. Ipotizzare una futura alleanza di governo all’insegna delle larghe intese (è accaduto nel 2013 in condizioni persino migliori) si potrebbe fare in Paesi forti come la Germania (tre mesi di discussione e poi però governo di ferro tra cristiano democratici e socialisti), oppure in Francia dove è proprio la legge che costringe gli elettori a mettersi d’accordo al secondo turno. Ma da noi queste cose magari si fanno (vedi governi Monti e Letta) e magari si forzano (vedi acquisizione renziana dei verdiniani), ma non si dicono prima delle elezioni. E allora perché no almeno un tavolo riformisti-moderati per fare una legge elettorale decente, che recuperi quel tanto di maggioritario che possa consentire agli elettori la scelta tra candidati potenzialmente credibili? In questo Parlamento, sia pur eletto in modo incostituzionale, i numeri ci sarebbero, a differenza del prossimo.

Sia il Pd che il centrodestra hanno un personale politico che potrebbero sperare di spuntarla, in collegi uninominali, contro gli sconosciuti pentastellati (si veda il caso del flop preventivo del sindaco di Monza, 20 voti 20 sul web), con almeno il vantaggio per gli elettori – dopo tanti anni – di vedere in faccia i loro rappresentanti. Se la gara torna invece ad essere tra i soli simboli, abbiamo già visto che il partito del vaffa è più forte. Sappiamo bene che anche sulle regole elettorali l’egoismo degli uni e degli altri porta a divergere, e che il cosiddetto Mattarellum voluto da Renzi è stato solo un espediente per guadagnare tempo e dar priorità al referendum. Ma se poi il referendum è stato perso e il cosiddetto Italicum è stato maltrattato dalla Consulta, non per questo è stato stabilito in modo indiscutibile che quella specie di puzzle del «Consultellum» sia il verbo, tanto più che ci sarebbe comunque da pensare al Senato. Purtroppo, la Consulta non ha bocciato (e non si capisce perché, con tutto il rispetto) i capolista bloccati e questo ingolosisce le segreterie di partito, facendo intravedere la possibilità di costruire ancora una volta a tavolino il futuro Parlamento. A cosa servirebbe però questo distillato uscito dagli alambicchi del retrobottega di partito, se poi si fa nascere un Parlamento impotente, che va rifatto al più presto, e poi magari rifatto ancora, con la troika già in volo? E, ipotesi non peregrina, se il tavolino fosse collocato nel salotto buono della villa genovese di Beppe Grillo?

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