L’Europa
di Einaudi

Nell’immediato dopoguerra Luigi Einaudi, che certamente rappresentò un sicuro punto di riferimento per l’intero Paese, in varie occasioni testimoniò la sua forte visione europeista. In un discorso pronunciato di fronte all’Assemblea Costituente nel 1947 ebbe a dire: «L’Europa che l’Italia auspica non è un’Europa chiusa.

È un’Europa aperta a tutti, un’Europa nella quale gli uomini possono far valere costantemente i loro ideali e nella quale le maggioranze rispettano le minoranze». Ancora, nel 1948, scriveva: «Non c’è per l’Europa un futuro di pace e di prosperità economica e sociale al di fuori di un percorso integrativo e federativo indirizzato all’unificazione del continente. La necessità di unificare l’Europa è evidente, gli Stati sono polvere senza sostanza».

La dimostrazione di quanto i grandi statisti sappiano guardare lontano è testimoniata dalla circostanza che trent’anni dopo si sarebbero concretamente evidenziati i limiti delle politiche economiche e sociali dei vari stati nazionali, in presenza dell’inarrestabile processo di globalizzazione dei mercati. Negli anni successivi, fino alla sua morte (1961), il pensiero di Einaudi fu spesso in sintonia con quello federalista-socialdemocratico e con quello di cattolici-europeisti come Alcide De Gasperi che fu promotore, con Schuman ed Adenauer, del Trattato di Roma del 1957, costitutivo della Comunità Economica Europea. Con quel trattato, i sei Paesi firmatari (Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo) si impegnarono a rimuovere le barriere interne alla libera circolazione dei beni, servizi, capitali e persone, per dare vita alla progressiva integrazione delle economie europee.

Questa scelta, limitata a soli aspetti economici per le forti resistenze nazionaliste interne agli Stati firmatari dell’accordo, fu presentata come propedeutica alla realizzazione dell’unificazione politica. In realtà, con i successivi Trattati - in particolare con quello di Maastricht, che ha portato alla creazione dell’Unione Europea, della Banca Centrale Europea e dell’Euro - tanta parte della sovranità economica è stata messa in campo. Nessuna concreta iniziativa è stata però assunta sul piano politico, nemmeno con il più recente Trattato di Lisbona (2008). Di questa incompiutezza dell’Europa paghiamo ora le conseguenze sul piano economico, politico e sociale. L’aspetto più critico è rappresentato dalla situazione ibrida in cui si trova la Bce, che non avendo tutti i poteri di una banca centrale, non è in grado di assicurare la solvibilità degli Stati membri.

A ciò si potrebbe giungere, però, solo se tutti i Paesi aderenti riuscissero a rientrare nei parametri del debito stabiliti a Maastricht. Ciò non sta avvenendo in particolare nel nostro Paese, il cui debito risulta tra i maggiori dell’Unione e nel quale ogni governo negli ultimi vent’anni si è guardato bene dall’assumere misure efficaci per il suo contenimento. Questa circostanza contribuisce a rendere sempre più gravi gli effetti della speculazione internazionale, esercitata soprattutto nei confronti dei Paesi più indebitati. Siamo oggi in una situazione nella quale appare sempre più evidente che il «punto di non ritorno» non è superato, come più volte evidenziato in passato dal compianto Tommaso Padoa Schioppa. Da qui, la presenza di un sempre più diffuso «euroscetticismo» di quanti, più o meno apertamente, fanno intravedere la necessità di un ritorno allo Stato nazionale. Sarebbe un ritorno alle autarchie localistiche, ai populismi, agli effimeri vantaggi della svalutazione e della spesa facile ed ai ribellismi di vario tipo di cui paghiamo, oggi, gravissime conseguenze. Ne usciremmo indeboliti, isolati, più poveri e, soprattutto, con molte meno speranze e progetti di vita motivanti per le nuove generazioni.

Luigi Einaudi, per quanto si è evidenziato del suo pensiero, sarebbe certamente al fianco di chi auspica una rapida evoluzione politica del progetto europeo, attraverso il progressivo snellimento delle competenze di ogni Stato e l’assegnazione ad un governo europeo eletto dal popolo della capacità di agire nei settori cruciali dell’economia, della finanza, della politica estera e della difesa.

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