L’imperturbabile Conte obbligato
dall’Europa a tagliare le leggi spot

Tra le condizioni poste dalla Commissione Europea per accedere ai fondi del Recovery Fund, l’Italia – maggior percettore con 209 miliardi – deve rimangiarsi sia Quota 100 sia il Reddito di cittadinanza, ossia le due leggi-simbolo del fu governo giallo-verde che più sono state contestate a Bruxelles. Il carattere assistenzialistico delle pensioni secondo Matteo Salvini e dei sussidi versione Luigi Di Maio è sempre stato contestato in Europa che considerava quelle leggi come misure improduttive capaci solo di aumentare la spesa pubblica improduttiva. Ma se il mancato rinnovo di Quota 100 era nell’aria da tempo, assai meno scontato era che il governo dovesse scaricare anche la legge tanto cara ai grillini. Il problema è che il sussidio, distribuito a più di un milione di italiani (e sembra con parecchi abusi e false dichiarazioni), non ha creato nuovi posti di lavoro come promesso, e gli unici beneficiati della misura sembra siano i famosi «navigator» che avrebbero dovuto quasi incarnare una nuova stagione della politica attiva del lavoro. Quindi quantomeno ci sarà una stretta sui criteri di distribuzione e mantenimento del sussidio. Poi si vedrà se tagliare ancor di più.

Giuseppe Conte ha annunciato questa controriforma con il distacco di un passante straniero e non certo come il presidente del Consiglio che nella sua vita precedente quelle leggi le ha firmate. Del resto, l’uomo è così: la sua capacità di adattamento alle situazioni è la caratteristica che lo tiene a galla e che lo ha reso insostituibile in questa legislatura e chissà fino a quando. Tocca a lui da una parte rispondere alle richieste della Commissione europea se vuole che i miliardi promessi arrivino alla Tesoreria di via XX Settembre, e dall’altra contenere le proteste dei partiti quando si tocca il loro «core-business». Passi per la Lega e la sua Quota 100: l’opposizione può promettere tutte le battaglie che vuole. Ma sulla legge che, secondo Di Maio e i suoi sodali, avrebbe dovuto «sconfiggere la povertà», Conte rischia di pagare un prezzo. Nei gruppi parlamentari grillini infatti è successo un finimondo quando sono apparse le dichiarazioni del presidente del Consiglio, e si sa che da quelle parti di tutto c’è bisogno tranne che di altra benzina da buttare su un fuoco sempre acceso.

Il facente-funzione di capo politico Vito Crimi, ostaggio dei veti reciproci delle varie correnti, ha indetto una riunione «intorno al caminetto» per discutere del futuro di un movimento sempre più lacerato. Tra un gran traffico di auto blu con lampeggiante, scorte e segretarie, in un agriturismo alle porte di Roma capi e capetti pentastellati si sono sforzati di trovare tra loro un modo comune se non per andare avanti quantomeno per celebrare i loro «Stati generali» (una specie di congresso) nel modo meno indolore. Tutti sanno che il rischio è la scissione tra i sostenitori di Di Maio e quelli di Di Battista (gli esclusi dal governo Conte-2) che poi sarebbe l’inizio della fine di quello che da tempo non è più il partito di maggioranza relativa scelto dagli italiani nel 2018. L’ultimo slogan intorno al quale cercare di restare uniti è il «no» cocciuto ai soldi del Mes che viceversa il Pd come la Banca d’Italia considerano indispensabili per tirare avanti. Il giorno in cui Conte metterà ai voti in Parlamento l’utilizzo delle risorse del Fondo Salva Stati potrebbe essere quello decisivo per la sopravvivenza dell’ex creatura di Beppe Grillo e del suo mentore Gianroberto Casaleggio.

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