L’Italia debole e precaria
spaventa l’Unione europea

La campagna elettorale italiana è arrivata a Bruxelles. Il Commissario Ue agli Affari economici ha espresso preoccupazioni per la tenuta dell’Italia dopo il voto. Il superamento della soglia del deficit del 3% prevista dalle clausole di Maastricht è al centro dei timori europei. Moscovici conta sulla capacità italiana di salvarsi all’ultimo minuto, da qui l’espressione: l’Italia anche in caso di caduta é come un gatto, rimane sempre in piedi. Un auspicio oltre che una speranza. Cadere non è normale. Se succede da dieci anni a questa parte è perché vi è una debolezza strutturale: la precarietà di un Paese che non ha trovato ancora una sua via di crescita duratura e sostenibile.

Tutte cose che i cittadini italiani sanno ma che non amano sentirsi dire dagli altri. A Bruxelles non hanno ancora capito che a volte il silenzio è d’oro. Lo hanno rispettato per tutta la campagna elettorale tedesca e ancor oggi dopo quattro mesi senza governo a Bruxelles tutto tace. Ma l’Italia è diversamente percepita, instabile e finanziarmente debole. Un possibile successo in chiave populista avrebbe conseguenze in tutta l´Eurozona. Le classi dirigenti italiane sono deboli e, sia pure indirettamente, tendono a trarre vantaggio dalla legittimazione di una fonte istituzionale esterna considerata sovrapartitica. È tuttavia un calcolo non sempre profittevole. L’insoddisfazione ha bisogno di un capro espiatorio. Il percorso del cambiamento dura anni e risultati tangibili soprattutto nelle fasce basse della popolazione arrivano con ritardo. Non a caso i governi che pongono in essere riforme difficilmente sopravvivono a se stessi. I governi Monti e Renzi hanno fatto da parafulmine.

A Gentiloni è spettato il compito di implementare quanto già avviato e di suo ha che non offre spigoli ai quali il malcontento può aggrapparsi. Quindi il cattivo non può che provenire dall’esterno. La Commissione europea ha l’ingrato compito di far imporre delle regole e già questo basta e avanza agli occhi di una fetta di società italiana che del non rispetto delle regole ha fatto la sua divisa. Molte delle difficoltà vengono dall’apertura dei mercati e quindi dall’improvvisa concorrenza di altre economie, ma il volto della globalizzazione è anonimo mentre quello di Bruxelles ha nome e cognome. E tuttavia in questa situazione la Commissione mostra tutti i suoi limiti. Come entità tecnocratico-burocratica non percepisce le ansie e le aspettative dell’opinione pubblica europea e quindi anche italiana. Un tema domina su tutto: l’insicurezza per il futuro. Nella prospera Germania in un sondaggio dell’Istituto Allensbach i cittadini si dicono soddisfatti per la situazione economica ma sono in ansia per la mancanza di sicurezza percepita e l’assenza di una prospettiva. In pratica sono travolti dai cambiamenti e hanno perso l’orientamento. Nella situazione italiana a questo stato d’animo diffuso si aggiunge la perdita di benessere se non la povertà di interi strati sociali. Una miscela di insoddisfazione e astio verso le classi dominanti che trova la sua valvola di sfogo nel voto di protesta.

Opportuno quindi sarebbe rassicurare e non tanto rimproverare. Ma per far questo c’è bisogno di un’istanza rappresentativa che dia espressione politica a quello che per ora è demandato ai sondaggisti. La Commissione mostra in questo suo interventismo la necessità di creare a Bruxelles istituzioni che trovino legittimazione nel voto popolare, così come lo sono i governi nazionali. Abbiamo bisogno di più Europa anche perché senza dove andremmo a parare? E questo anche i partiti populisti di casa nostra sembrano ormai averlo capito.

© RIPRODUZIONE RISERVATA