L’Italia in frenata
alla sfida di Bruxelles

Oggi è il giorno in cui a Bruxelles si aspettano che il governo italiano risponda alla bocciatura della manovra messa per iscritto dai commissari europei. Il radicale cambio di rotta chiesto all’Italia da Junker, Dombrovskis e Moscovici non ci sarà. La lettera che verrà spedita da Palazzo Chigi non conterrà modifiche che possano soddisfare i partner anche se ci saranno alcune dimostrazioni di buona volontà: accorgimenti contabili e soprattutto misure spostate in avanti nel tempo, come potrebbe essere la riforma delle pensioni «della quota cento», che secondo l’Ufficio parlamentare del Bilancio costerà il doppio (tredici miliardi) di quanto stanziato (sette miliardi) e che comporterà per chi volesse usufruirne, penalizzazioni dal 5 al 30 per cento dell’assegno.

Posto che questi accorgimenti siano davvero contemplati dalla lettera, non è detto che soddisfino Bruxelles: la previsione di un rapporto deficit/Pil al 2,4 per cento è considerata tanto intoccabile da Salvini e Di Maio quanto inaccettabile dalla Commissione soprattutto ora che, sempre secondo l’Upb, si è chiarito che potrebbe essere ritoccata verso l’alto, almeno fino al 2,6%, con stime di crescita del Pil che tutti gli organismi delineano ben al di sotto di quelle messe nero su bianco dal governo.

Secondo l’Istat l’1,2 per cento su cui conta Palazzo Chigi non è materialmente raggiungibile. Identiche osservazioni e vere e proprie stroncature si sono ascoltate ieri in commissione Bilancio non solo dal già citato Upb e dall’Istat ma anche dalla Corte dei Conti e da Confindustria, ultimi di una serie molto lunga di soggetti economico-sociali o statistici o giuridici estremamente critici verso l’operato del governo. Che tuttavia non si muove, almeno apparentemente: il ministro Tria ha sì lavorato in questi giorni per trovare qualche escamotage tecnico che impedisca a Bruxelles di aprire la procedura di infrazione, ma Salvini e Di Maio non hanno fatto altro che lanciare palle infuocate verso Palais Berlaymont e le sue «letterine» di cui il leader leghista dice di non voler neanche sapere.

Lo stesso governo però ieri ha vissuto una curiosa giornata di confusione: tra indiscrezioni e smentite per ore i giornalisti non sono riusciti a capire se a Palazzo Chigi ci fosse stato il tanto atteso «vertice» tra Conte, Tria e appunto i due capi politici della maggioranza. Alla fine si è capito che si sono visti sì ma separatamente: Conte con Salvini prima e poi Conte con Di Maio. Non si sa perché. Oggi però i tre dovrebbero pur incontrarsi collegialmente, se non altro perché debbono dare alle stampe la famosa lettera che potrebbe, con il suo invio, dare il via ad un nuovo periodo turbinoso sui mercati e a carico dei nostri titoli di Stato, ormai stabilitisi sopra la quota dei 300 punti di distanza dai bund tedeschi. Un livello che non è sopportabile a lungo, dicono in coro La Banca d’Italia, l’Abi e persino la Cei che ieri è tornata a chiedere senso di responsabilità per tutelare le famiglie italiane e i loro risparmi. Ma Lega e M5S sono convinti che la sfida alla Commissione possa essere vinta e che le resistenze potranno essere piegate: tale convinzione si basa sul fatto che dopo il voto di maggio, quando il nuovo Parlamento europeo sarà eletto con ben altri equilibri e protagonisti, le regole di austerità che oggi ci vengono scagliate addosso (per la verità da tutti i Paesi membri, non uno escluso) saranno considerate carta straccia. È una scommessa politica che però sconterà nel frattempo un lungo periodo di turbolenza finanziaria: da qui alla primavera, infatti, l’Italia potrebbe improvvisamente ritrovarsi in una condizione di autentica difficoltà. A meno che non abbiano ragione i grillini secondo cui la vera spinta ad un’economia in forte rallentamento la potranno dare i consumi pagati con il reddito di cittadinanza.

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