M5S a sinistra
e anti-Salvini

Dicono i sondaggi – gli ultimi che gli elettori potranno leggere prima del silenzio nell’ultima fase elettorale – che la Lega stia calando nei consensi e che il Movimento Cinque Stelle, per quanto in discesa, abbia fermato l’emorragia. Salvini dovrebbe dunque attestarsi poco sopra il trenta per cento ma non oltre; mentre sembrerebbe scongiurato per Luigi Di Maio il rischio di scendere sotto il venti e passare in un colpo solo da primo partito italiano (elezioni politiche 2018, trentadue per cento) addirittura al terzo posto.

È probabile che queste ricognizioni rispecchino l’aggressiva strategia comunicativa messa in campo dallo stesso Di Maio e da Casaleggio dopo la serie rovinosa di fiaschi elettorali nelle regioni che, insieme ai sondaggi, facevano presagire un autentico disastro alle Europee. In cosa è consistita questa strategia? In due punti essenzialmente. Il primo è il riposizionamento «a sinistra» del Movimento. Il secondo è la polemica senza quartiere e la risposta colpo su colpo allo strapotere comunicativo di Matteo Salvini.

«A sinistra» si colloca chi si è deciso a osteggiare, per esempio, la politica dei «porti chiusi» del ministro dell’Interno, inizialmente invece sposata: questo ha consentito ieri, di fronte agli sbarchi a raffica di migranti provenienti dalla Tunisia, di rinfacciare a Salvini «il fallimento» della sua linea addossandogliene tutta la colpa. E dire che proprio sul caso dei profughi trattenuti a bordo della nave Diciotti, Di Maio aveva messo a rischio la linea giustizialista del Movimento rifiutando la richiesta di autorizzazione a procedere contro il capo leghista e dichiarando la sua (e di Conte) corresponsabilità nella scelta della politica migratoria del governo italiano. Adesso invece se le cose vanno male la colpa è di Salvini che oltretutto la ministra della Difesa Trenta accusa di criticare impropriamente le Forze Armate.

È vero che questa linea «di sinistra» non sempre riesce a fare centro (al corteo per Peppino Impastato gli esponenti siciliani del M5S sono stati bruscamente allontanati) ed è anche vero che Di Maio ha incoerentemente rimproverato la sindaca Raggi di solidarizzare con la famiglia rom contestata da Casa Pound a Casal Bruciato e poi ricevuta dal Papa. Ma è pur vero che il riposizionamento serve a schiacciare a destra Salvini e a lanciare segnali all’elettorato di sinistra che a suo tempo scelse i grillini pur di non votare Renzi. Non solo, più Di Maio pigia sul tasto della «solidarietà» più si rafforzano nel Pd le voci che vorrebbero riprovare a intessere un dialogo con i pentastellati per isolare la Lega sovranista. Da questo punto di vista un inatteso regalo è giunto sia dalle polemiche sul libro-biografia di Salvini pubblicato dalla casa editrice parafascista cacciata dal Salone del Libro di Torino, sia dalle foto del leader della Lega insieme a Orban sulla torretta anti-migranti circondata dal filo spinato. Senza contare le vicende giudiziarie che stanno danneggiando il partito salviniano: la difesa strenua del sottosegretario Siri che invece i grillini hanno voluto cacciare dal governo, e lo scandalo delle mazzette in Lombardia certo non giovano al Carroccio che in questo momento si sente sotto attacco («Ogni volta che noi cresciamo succedono cose strane» lamenta il sottosegretario Giorgetti). E per la prima volta Salvini sembra costretto a inseguire piuttosto che a dominare la scena. Tanto che Conte – sulla vicenda Siri decisamente schierato a favore di Di Maio – può ironizzare: «Lui il vero capo della coalizione? Un’illusione ottica, il numero uno del governo sono io».

Se Di Maio sarà premiato da questa campagna elettorale aggressiva - se cioè manterrà il partito al secondo posto sopra il venti per cento dei voti - potrà rimanere il leader indiscusso del Movimento senza essere disturbato né dalla fronda interna né da un ritorno del suo amico-avversario Di Battista. In caso contrario, dopo il 26 giugno si aprirà tutta un’altra storia: non solo nel governo ma anche nel Movimento Cinque Stelle.

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