Macron atteso
alla prova dei fatti

Martedì scorso era la festa dell’Europa. L’Europa ha tirato un sospiro di sollievo con la vittoria di Macron. E tuttavia, lo abbiamo sempre detto, nemico dell’Ue non è solo il sovranismo, più o meno populista, di cui Marine Le Pen è espressione, ma anche il «tirare a campare», pago di un’integrazione perennemente a metà, avanzata sul piano dei mercati e appena cominciata su quello delle politiche sociali e del contrasto a povertà e disoccupazione. Gli europeisti timorosi o tiepidi, difensori di uno status quo insostenibile, condannano l’Ue alla stessa fine degli euro-ostili, con l’unica differenza di infliggerle una morte lenta, anziché violenta.

Macron non è certo un nazionalista anti-europeista, ma sarà in grado di promuovere la svolta attesa? Il presidente della Repubblica francese, per quanto titolato a partecipare ai Consigli europei dei capi di Stato e di governo, dovrà fare i conti con vincoli esterni (gli altri Paesi europei) e interni (di quale maggioranza parlamentare potrà godere?).

Ma qual è la sua idea d’Europa? Leggendo la parte di programma relativa a questo tema si traggono indicazioni, pur tutte da verificare. Anzi tutto, rispetto alla visione tradizionalmente francese di un’Europa delle nazioni, Macron dice di rifiutare la contrapposizione tra Europa e sovranità e assegna all’Ue una funzione di «protezione supplementare». Si spinge fino a parlare di «sovranità europea». Dal programma emerge consapevolezza del limite dell’attuale costruzione europea e cioè del disallineamento tra integrazione dei mercati e delle politiche economiche e sociali.

Le proposte di Macron, formulate in modo un po’ generico, riguardano l’apertura di un dibattito, aperto alla partecipazione dei cittadini, sulle questioni europee; la presentazione di liste europee per la riassegnazione dei 73 eurodeputati britannici; il rafforzamento dell’Ue nelle cosiddette dimensioni della sovranità, in cui, secondo Macron, l’Europa è rimasta in mezzo al guado e condannata a pesare poco nel mondo. Queste dimensioni riguardano la sicurezza, fondata però sulla cooperazione tra Stati; gli strumenti di protezione dei mercati europei; il potenziamento dei vettori di costruzione dell’identità europea, sul modello del programma Erasmus; il rafforzamento della dimensione europea dei diritti sociali; e soprattutto la promozione della crescita economica, declinata con gli strumenti della previsione di un bilancio per l’eurozona, per il cui accesso si richiederebbe il rispetto di regole in materia fiscale e di politica sociale (per scongiurare il dumping); nonché dell’istituzione per l’Eurozona di un ministro dell’Economia e di un Parlamento, formato dai parlamentari europei degli Stati membri.

In attesa di verificare il passaggio critico dai programmi all’azione concreta, l’ultimo punto ricordato merita una sottolineatura, perché davvero importante. Al riguardo, è stato appena tradotto e pubblicato un pamphlet, a firma dell’economista Thomas Piketty e di altri intellettuali francesi, dal titolo «Democratizzare l’Europa!», la cui proposta saliente, concreta e strategica, è proprio la democratizzazione dell’Eurozona, e cioè di quel nucleo parallelo all’Ue, fatto dai Paesi che adottano l’euro e costruito su meccanismi spesso opachi, ma ciò nondimeno pervasivi.

In questi anni di crisi, l’Eurozona è stata oggetto di una normativa vincolante, che ha un impatto fortemente condizionante sulle politiche nazionali di bilancio (il cosiddetto fiscal compact) e sull’accesso degli Stati in difficoltà finanziaria a programmi di sostegno (il meccanismo europeo di Stabilità).

L’idea proposta, compatibile con i Trattati Ue, è quella di istituire un Parlamento dell’Eurozona, che democratizzi questa costruzione e ispiri, secondo un principio di responsabilità politica, le politiche economiche e di bilancio europee. La posta in gioco è decisiva e cioè quella, coerente con i principi dello Stato democratico e di diritto cui l’Ue dichiara di ispirarsi, di ristabilire il controllo parlamentare (e dunque popolare) su strumenti che hanno avuto e hanno tuttora un fortissimo impatto di condizionamento delle politiche di bilancio e, attraverso questo canale, di tutte le politiche, comprese quelle sociali, dei Paesi dell’eurozona e soprattutto di quelli indebitati e bisognosi di sostegno finanziario. Su queste idee misureremo la convinzione europeista e il coraggio di Macron e degli altri leader europei.

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