Marchese de Milan
e Pilato svizzero

Il Marchese del Grillo ha sempre ragione. Io so’ io, ed è meglio sorvolare su chi siete voi. L’Atalanta ieri dev’essersi sentita un po’ come quei poveracci arrestati insieme al nobile romano, nei cui panni si era calato un meraviglioso Alberto Sordi. Lui, salvato in extremis insieme al suo servitore, se ne va in carrozza e fa pure incarcerare per due mesi, anzi quattro, il brigadiere che non l’ha riconosciuto e quindi privilegiato. Loro, i poveracci, restano lì, nei guai e pure sbeffeggiati. Il mondo gira così. Non è il caso di vestire i panni di Calimero, per carità. Non lo fa (tranne qualche spiffero) l’Atalanta, che pure ne avrebbe mille motivi, figurarsi se lo si fa qui, dove i panni dei tifosi vanno svestiti, per cercar di ragionare.

Quindi, ragioniamo. La Uefa aveva detto: i conti del Milan sono disastrosi, peggio di uno scolapasta. Quindi, fuori dalle competizioni e sistemarsi alla svelta. Il Tas dice: no, il quadro è cambiato, quindi tornate all’Uefa e si imponga una sanzione più proporzionata. Il che avrebbe avuto un senso se al Milan fossero stati appioppati due anni di stop: è troppo, fate uno che è più giusto. Ma se un anno non è proporzionato, vien da chiedersi cosa lo sia. Va detto, però, che in passato fuori dall’Europa non sono state messe società che coi conti sono state allegre almeno quanto il Milan. Il PSG, per dirne una. Ma va anche detto che è difficile vedere fatti veramente nuovi nel Milan, che ha sì cambiato proprietà, in favore però non di un vero presidente, ma di un fondo speculativo che per sua natura persegue obiettivi quel tantino diversi da quelli sportivi. Ma nel mentre, il Milan non è riuscito a buttar fuori dal suo cda il precedente proprietario, quello che, insieme ai manager precedenti, aveva ridotto i conti della società nello stato che conosciamo e che proprio ieri (sarà un caso...) si è saputo essere indagato a Milano con ipotesi di reato varie ed eventuali. In più la società si è presentata a Losanna a parlare di continuità aziendale con dirigenti che, i giornali ne hanno scritte ormai enciclopedie, avrebbero i giorni contati.

Ma questo è bastato, ai giudici svizzeri, per accogliere il ricorso, rispedire il Milan all’Uefa senza passare dal via e stabilire una nuova pena. Pena, ricordiamo, l’esclusione dalle prossime competizioni internazionali. Chi vivrà, eventualmente, ne godrà.

Questi i fatti. Cosa resta da dire? Che se non ci possiamo permettere di giudicare la sentenza, della quale nemmeno si conoscono le motivazioni, possiamo però dire che è vagamente grottesco che una società (anzi due, c’è di mezzo pure la Fiorentina) sappia il 20 di luglio che il 26 dovrà sostenere un impegno internazionale. Il campionato è finito da due mesi; abbiamo dovuto attendere fino al 27 giugno per la sentenza dell’Uefa; il ricorso del Tas sembrava una cosa rapida, e s’è dovuto aspettare fino al 20 luglio per cosa? Per tornare al punto di partenza, col Tas che fa come Ponzio Pilato, decide di non decidere, rispedisce il Milan a discutere con l’Uefa, ottenendo comunque il risultato che la sentenza di un mese fa aveva apparecchiato: una società che non rispetta le regole del fair play finanziario, che compra giocatori che non si potrebbe permettere, e arriva sesta, può comunque beneficiare delle conseguenze sportive dei suoi risultati e giocarsi l’Europa League. Questo è il messaggio che passa da tutta la vicenda, e per lo sport è un messaggio distruttivo. Sottolinearlo non significa cavalcare il cavallo zoppo del vittimismo, né godere di «disgrazie» (che tali non sono) altrui, né tantomeno mancare di rispetto ai risultati del campo. Anzi: si vorrebbe che i risultati riflettessero le effettive forze dei portafogli. Altrimenti si fa la fine dei poveracci del Marchese: in fondo avevano fatto niente di grave, ma finiscono nei guai. E pure presi per i fondelli. Meglio il campo, se ci si chiama Atalanta. Perché dai palazzi, va detto, mai una gioia.

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