Nel futuro di Ubi
la storia di Bergamo

A Brescia, già avvezza alla Spa, sono ottimisti su Ubi Società per azioni. A Bergamo, cresciuta popolare, probabilmente c’è qualche mal di pancia in più fra le migliaia di soci sparsi in ogni angolo della provincia, molti dei quali si sono tramandati le azioni della banca di padre in figlio. Ma tant’è.

Oggi l’assemblea straordinaria è chiamata a votare l’addio alla forma Popolare e al voto capitario «una testa, un voto» e a imboccare la strada della società per azioni, dove pesa il capitale. E c’è da aspettarsi che con realismo anche Bergamo accetterà la sfida e guarderà oltre. Scelte diverse suonerebbero pericolose e i presidenti dei Consigli di sorveglianza e di gestione del gruppo, Andrea Moltrasio e Franco Polotti, non hanno mancato di rilevarlo nella lettera inviata ai soci in vista dell’appuntamento odierno: «A fronte della previsione di legge, vi è la consapevolezza che l’eventuale mancata assunzione della deliberazione di trasformazione in società per azioni comporterebbe gravi conseguenze».

Fra i più nostalgici, c’è chi ha scelto di non partecipare all’assemblea di oggi: troppo difficile assistere alla fine di un mondo in cui ci si è identificati per un’intera vita.

Certo, ci sono anche le «icone retoriche» di cui parlava ieri sul nostro giornale il professor Tancredi Bianchi: un’idea romantica di cooperativa che nei fatti non c’è più. Del resto, l’essenza originaria della Banca Mutua Popolare di Bergamo che nel suo programma costitutivo, nel febbraio del 1869, ben 146 anni fa, scriveva che «per fruire dei benefici è necessario esser soci e formarsi un piccolo fondo, che valga a guarantigia delle operazioni future» non esiste più da un pezzo.

Quello spirito popolare, tuttavia, nel mutare del mondo e dei mercati, partendo dalla Popolare di Bergamo e passando per Bpu fino ad arrivare a Ubi, ha plasmato una corazzata che oggi si muove a testa alta nella comunità finanziaria internazionale, forte di risultati economici e di una solidità patrimoniale di tutto rispetto.

Da una parte, dunque, resterà un po’ indigesto il metodo impositivo della riforma, che per mettere ordine in una fetta del sistema creditizio, che non è stata immune da problemi di immobilismo e autoreferenzialità, ha messo tutti sullo stesso piano e d’autorità ha prescritto per legge un cambio netto di rotta, tagliando la strada a formule soft intermedie, come quella che Ubi aveva provato a introdurre con la sua autoriforma.

Dall’altra, guardando avanti appunto, c’è da augurarsi che per il futuro saranno presi in considerazione e adottati tutti gli strumenti che potranno mantenere in qualche modo il gruppo il più possibile vicino allo spirito popolare, che prima di essere una forma tecnica di società è un’idea di partecipazione e di democrazia economica, calmierando, per quanto possibile, il principio puro «un’azione, un voto». C’è il tetto al diritto di voto, fissato in via transitoria fino a marzo del 2017 al 5%, che si potrà valutare di rendere permanente, come è già in Unicredit. C’è il voto maggiorato, che premia la fedeltà degli azionisti. E ci sarà il versante soci, che potrà organizzarsi per provare a contare.

Il passaggio di oggi per la trasformazione in Spa sarà dunque solo l’inizio di un percorso, nel quale le scelte strategiche in un eventuale prossimo risiko bancario giocheranno un ruolo non secondario. E Ubi potrà fare ancora da apripista nel costruire un nuovo modello di banca ad azionariato diffuso, come ha deciso di fare oggi, convocando per prima, tra le dieci Popolari coinvolte dalla riforma, un’assemblea straordinaria epocale che, dopo 146 anni di storia, è chiamata a voltare pagina.

© RIPRODUZIONE RISERVATA