Non solo profitto
I petrolieri dal Papa

Non li ha convocati il Papa. Loro hanno chiesto di andare in Vaticano a discutere con l’ormai unica autorità globale e morale del pianeta. Mentre il G7 in Canada si divide sui dazi e all’orizzonte le probabilità di una nuova guerra commerciale sono sempre più alte, nella «casina» della Pontificia Accademia delle Scienze nel verde dei Giardini vaticani, per due giorni i padroni del sistema energetico globale si sono chiusi dentro per cercare di capire se si può passare dalla cultura dei «buoni affari» a quella degli «affari buoni» e in che cosa il pontificato di Francesco li può aiutare.

C’erano tutti dalla ExxonMobil, alla Britisch Petroleum, dalla Royal Dutch Shell alla Equinor norvegese alla Pemex, l’azienda petrolifera messicana all’italiana Eni. In più c’era Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, il più grande fondo di investimento del mondo con un patrimonio gestito di oltre seimila miliardi di dollari, una cifra impressionante che può fare la differenza negli investimenti in energie pulite rinnovabili e salvare il pianeta.

Le modalità della richiesta dell’incontro, attraverso la mediazione dell’università cattolica americana di Notre Dame, costituiscono un risultato clamoroso per la leadership di Bergoglio e rappresentano un successo altrettanto cruciale per l’enciclica «Laudato si’» nella quale il Papa aveva scritto che «la tecnologia basata sui combustibili fossili molto inquinanti, specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio». La discussione di questi giorni a porte chiuse in Vaticano tra un pugno di petrolieri potentissimi e gli uomini dello staff di Francesco preoccupati di come si sta rovinando il pianeta, è il segnale che l’enciclica pubblicata tre anni fa sta scuotendo coscienze e ha aperto qualche scalfittura nel muro di piombo dell’energia inquinante.

Non sappiamo ciò che si sono detti con la squadra vaticana dell’Accademia delle scienze, guidata dall’arcivescovo Marcelo Sanchez Sorondo, ma già il titolo del vertice è significativo: «La transizione energetica e la cura della nostra casa comune». Non sappiamo se i petrolieri globali si siano convinti che anche il futuro delle loro aziende potrebbe essere migliore se collaborassero al contenimento delle emissioni di gas. Conosciamo le parole del Papa a questo piccolo gruppo di manager del potere immenso. Francesco ha rilevato che la «civiltà richiede energia», ma «l’uso dell’energia non deve distruggere la civiltà». Sullo sfondo c’è l’accordo di Parigi sul clima, dal quale Donald Trump ha sfilato gli Stati Uniti, convinto che abbia conseguenze negative per l’economia americana. Bergoglio ha ripetuto che davanti ai rischi del surriscaldamento globale, responsabile di nuove migrazioni, nuova fame e nuovi poveri, «non c’è tempo da perdere». Per questo occorre discutere con chi non solo ha le chiavi del sistema estrattivo e dell’impatto sui mercati, ma è in grado di orientare le politiche degli Stati e dei grandi fondi di investimento.

Oggi si confrontano due scuole di pensiero. C’è chi sostiene la tesi di Trump e c’è invece chi afferma che gli Accordi di Parigi porterebbero benefici economici di gran lunga superiori ai danni del loro sbaragliamento. La questione energetica sta tutta qui ed è una sfida pratica e teorica per la comunità internazionale, dalla quale non sono alieni gli argomenti morali. Bisogna stabilire insomma se la perversa lotta circolare per le risorse, dal petrolio alla terra e sottoterra e fino all’acqua, possa essere interrotta con un processo complesso ma decisivo di ricerca di risposte globali, come ha detto ieri Bergoglio, «con pazienza e dialogo e ricercate con razionalità e costanza».

Qualcosa si muove anche nelle multinazionali, ha ammesso il Papa, con lo sviluppo di «approcci più approfonditi per valutare il rischio climatico e modificare di conseguenza i loro piani imprenditoriali». Ma, ha aggiunto, «è sufficiente?». Per ora nessuno lo sa. Eppure il passo dei petrolieri verso la casa del Papa è un primo buon segnale, un briciolo di coscienza in più nella predisposizione futura di business plan per ora dannatamente tremendi.

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