Ogni partito si arrocca
La guerra continua

Le conclusioni della direzione Pd hanno sancito lo stallo: nessun aiuto ai «vincitori» a corto di voti. E così ciascun partito continua a girare in tondo su se stesso ignorando gli altri. Ignorando anche il secondo appello in due giorni del capo dello Stato «al senso di responsabilità» «senza egoismi». Parole al vento. È come se la campagna elettorale non fosse finita e si combattesse in vista di qualcosa d’altro. Ma cominciamo dai democratici, appunto. Ora il partito è nelle mani di Maurizio Martina: le dimissioni anche formali di Renzi, è lui il «reggente» cui tocca l’ingrato compito (ma anche la buona occasione).

Promette collegialità e collaborazione per traghettare il Pd ferito fino all’assemblea di aprile e lì decidere il da farsi per il futuro. Tutti lo sostengono, però intorno a lui le truppe si muovono: la minoranza insiste per la discontinuità col renzismo, mentre Renzi sparisce, ma «non molla», come dice lui, ed è pronto a giocare la partita dei capigruppo che gli dovrebbe riuscire facile dal momento che – al netto di qualche tradimento – può ancora contare sulla lealtà della maggioranza dei parlamentari.

Sulla linea dell’ormai ex segretario tuttavia, dopo un iniziale sbandamento con conseguenti, diffusi sospetti, si è attestata tutta la direzione: si va all’opposizione. Seria, responsabile, giudiziosa, come dice Delrio (candidato alla segreteria), ma opposizione. Non un voto agli estremisti: non si fanno patti né con i Cinque Stelle né con la Lega: gli elettori li hanno votati, adesso governino se ci riescono. Tutti d’accordo? Tutti d’accordo. Fino in fondo? Fino in fondo, a meno che… a meno che non succeda qualcosa. Che nessuno sa e nessuno può prevedere, naturalmente, forse nemmeno Mattarella. Per il momento il Pd non partecipa a nessun «inciucio», neanche sulle presidenze parlamentari. Però lì dentro le cose sono troppo complicate e il risultato è stato davvero troppo negativo perché si possa dare una spiegazione davvero semplice e lineare: la sinistra è fatta così, si sa. E dunque c’è da attendersi qualche movimento. Per esempio: che effetto fa sentire ogni giorno Renato Brunetta (che è pur sempre Brunetta) lanciare proposte e offerte ai democratici, per esempio la presidenza di una Camera, in cambio di un «dialogo»? È una insistenza che può sortire un effetto oppure potrebbe servire solo per irritare Salvini che non più tardi di domenica ha detto: le presidenze di Senato e Camera ce le prendiamo noi della Lega (non Forza Italia, dunque) e i Cinque Stelle, cioè chi ha vinto.

È lo stesso Salvini che all’appello di Berlusconi perché anche il Pd contribuisca a fare un governo ha risposto a brutto muso che gli elettori non hanno votato Lega per vedersi riportare Renzi o Gentiloni al governo. Ecco un movimento in tondo: Salvini chiede «dialogo» per avere i numeri in Parlamento, ma contemporaneamente chiude tutte le porte. Né spiega chi dovrebbe votare le sue proposte per un nuovo Def senza Fornero e con meno tasse. Nel centrodestra parlare di Pd serve soprattutto al confronto tra la Lega che si sente ormai padrona del campo e Forza Italia che non rinuncia alla vecchia leadership.

Ma gira in tondo anche il Movimento Cinque Stelle che non fa nessuna proposta esplicita al Pd pur avendo bisogno di quei voti. Dice: votate il nostro governo senza trattativa perché noi abbiamo vinto e non possiamo stare a discutere di poltrone: «vecchia politica». A queste condizioni anche il meglio disposto del Partito democratico gira i tacchi e se ne va nonostante le tante pressioni (interessate) ad appoggiare un governo che vengono dalla sinistra anti-renziana, dai sostenitori del No al referendum, i Pasquino e gli Zagrebelsky. Solo Michele Emiliano sembra ancora attestato su questa sponda ma la gran parte della base ha parlato: sarebbe un suicidio.

Riassumendo: il Pd si tiene i suoi voti; il M5S ne ha bisogno ma non li chiede perché pensa di averne diritto; alla Lega servirebbero ma Salvini li rifiuta perché Berlusconi è l’unico che li invochi apertamente. Conclusione: si annunciano tempi lunghi e complicazioni a non finire al termine delle quali nessuno già ora se le sente di escludere una nuova corsa alle urne.

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