Politiche di crescita
La Bce è troppo sola

Tassi invariati e programma di acquisto titoli confermato. La Bce decide di tenere saldamente ferma la barra della politica monetaria in direzione iper espansiva. Almeno fino a marzo prossimo e comunque fin quando sarà necessario. Appunto, fin quando sarà necessario? O forse sarebbe meglio chiedersi: fin quando sarà utile? Perché dopo quasi tre anni di manovre non convenzionali e 1.000 miliardi di euro letteralmente fatti piovere sull’economia, la crescita rimane bassa e l’inflazione bassissima.

C’è abbondanza di moneta e di debito pubblico, ma scarseggiano lo sviluppo e soprattutto i nuovi posti di lavoro, mentre sono tanti quelli esistenti che scompaiono. Non basta questa breve diagnosi a interrogarsi sulla validità della cura? In effetti sono sempre più numerosi coloro che mettono in dubbio l’efficacia della politica monetaria e mi consola essere meno isolato che in passato nel criticare l’eccessiva e illimitata creazione di base monetaria. Perché se una moderata iniezione di denaro e una piccola spinta al ribasso dei tassi di interesse sono uno stimolo all’economia, questa pressione inusitata è una brutale alterazione dei rapporti fra le grandezze economiche. Fino ad ora il risultato è stato quello di favorire i debitori, soprattutto quelli grandi che si finanziano attraverso l’emissione di obbligazioni acquistabili dalla Bce, senza riuscire a indurre maggiori investimenti e consumi.

Ma è tutta colpa di Draghi? Ovviamente no. La Bce fa quello che può, con la sua politica monetaria aggressiva, ma non è nelle condizioni di tradurla in crescita economica e sviluppo. Il problema è che mancano le altre azioni che, combinate con quella di Francoforte, potrebbero innescare il percorso virtuoso. Mi riferisco ai governi europei, e fra questi soprattutto al nostro, che profittano grandemente dei tassi bassi o addirittura negativi per finanziare quasi a costo zero i loro immensi debiti, ma dimenticano di utilizzare questo periodo di grazia per impostare azioni di autentica svolta. Quello che sanno fare è protestare contro i vincoli all’espansione ulteriore del debito. Come se quello accumulato fin qui fosse poco, come se non dovesse mai più venire un giorno in cui su quel debito si pagheranno interessi a un livello normale. Con quale credibilità possiamo andare a chiedere uno slittamento del pareggio di bilancio, dopo che per anni lo abbiamo promesso e sempre puntualmente ritardato (scusate l’ossimoro)?

Si dovrebbe invece approfittare di questo periodo favorevole per rimuovere tutti gli ostacoli allo sviluppo, togliendo leggi e vincoli invece di aggiungerne, togliendo inutili controlli burocratici e formali, togliendo perfino gli incentivi a questo o a quel tipo di investimento e di innovazione, perché ben sappiamo che anche questi sono fonte di spesa pubblica e di condizionamento delle scelte economiche. Le risorse che Draghi rende oggi più accessibili non devono essere consumate per i tanti dispersivi regalini a questa o quella categoria, gettati via negli 80 euro al mese o nei 500 euro per il diciottesimo compleanno. Nascondendosi, ancora una volta, dietro la baggianata che così si alimentano i consumi, la domanda interna e la crescita. La verità è che questa ricetta non funziona più, e non lo dico sulla base di vaghi ragionamenti teorici ma semplicemente osservando la realtà di questi anni. La finestra dei tassi bassi e della moneta a pioggia si chiuderà, presto o tardi. A quel punto dovremo aver fatto tesoro dei benefici che può generare. Dovremo farci trovare con più investimenti durevoli già finanziati (non quindi spesa corrente!) e con il deficit sotto controllo. Altrimenti il debito che oggi è oppressivo diventerà intollerabile.

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