Promuovere la vita
per evitare l’aborto

Diamo per assodato un punto condiviso da gran parte delle persone che leggono questo giornale: l’aborto è soppressione di una vita umana, per quanto ancora nella sua condizione più elementare. È violazione del diritto di un altro soggetto ad avere una propria biografia, facendo leva sul fatto che questo soggetto non ha voce per avanzare le proprie ragioni. Opporsi all’aborto è affermare un valore che difficilmente può essere messo in discussione, qualunque idea si abbia o a quale che sia l’appartenenza culturale: il valore della vita.

Chiarita questa premessa, resta una grande domanda che siamo chiamati ad affrontare. Perché quella che è l’evidenza di un valore non viene recepita come tale dalla maggioranza delle persone del nostro tempo? Il voto irlandese di venerdì è l’ennesima conferma di questo drammatico paradosso. Un Paese a grande tradizione cattolica, un Paese in cui la Chiesa riveste un ruolo sociale e civile ancora centrale, ha votato a grande maggioranza per l’introduzione di una legge che permetta alle donne, a particolari condizioni, di ricorrere all’aborto. Le proporzioni del referendum ricordano molto da vicino quelle dell’analogo referendum italiano del 1981: oltre due terzi degli elettori hanno votato, oggi a Dublino come allora a Roma, per la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza.

L’Irlanda era l’ultimo Paese europeo che ancora non era stato «travolto» da questo mutamento di sensibilità che segna la maggioranza della popolazione. Non era stato travolto anche perché non aveva affrontato la «conta», come invece è accaduto venerdì scorso. Si possono accampare tanti motivi contingenti. Si può ipotizzare che la Chiesa, attraversata dal drammatico scandalo della pedofilia, abbia visto gravemente indebolita la sua capacità di indirizzamento morale della popolazione di quel Paese. Del resto lo stesso Papa Benedetto XVI nella sua Lettera pastorale ai cattolici irlandesi del 2010 aveva espresso di fronte ai fatti che stavano emergendo, «un senso di dolore e di vergogna». Ha pesato anche una situazione un po’ paradossale, per cui l’aborto proibito nelle strutture irlandesi poteva essere praticato nella vicina Gran Bretagna: e i numeri dicono che circa 3 mila donne ogni anno abbiano fatto ricorso all’interruzione di gravidanza transfrontaliera. Tuttavia sono elementi non sufficienti a dare risposta compiuta alla questione drammatica da cui siamo partiti: perché il «valore» di quelle vite concepite non è percepita come un’evidenza dalla gran parte delle donne e degli uomini del nostro tempo? Un aiuto a rispondere a questa domanda ci viene dal commento che monsignor Vincenzo Paglia ha voluto rilasciare ieri rispetto al voto irlandese. «Questo passaggio nell’Irlanda ci deve spingere ancora di più non solo a difendere la vita, ma a promuoverla, ad accompagnarla, creando le condizioni perché non avvengano decisioni drammatiche. È sempre un dramma quando si decide di interrompere una vita, come dovrebbe essere sempre un dramma ogni volta che una vita - anche nata - viene distrutta, umiliata, stroncata». Paglia è stato voluto da Papa Francesco come presidente della Pontificia Commissione per la Vita. La prospettiva che suggerisce è una strada da percorrere con pazienza, per cercare di far breccia nella coscienza e nel cuore delle persone: non solo «difendere» ma «promuovere e accompagnare» la vita, nella concretezza del suo apparire. Far re-innamorare della vita le donne e gli uomini del nostro tempo, facendo nostre le parole conclusive del più grande romanzo irlandese del 900: quel meraviglioso «sì» alla vita ripetuto tre volte da Molly nell’Ulisse di James Joyce. Nell’amarezza di questo voto, la vera sfida è alimentare comunque una positività e una speranza.

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