I cambi di casacca
già prima del voto

Fu il presidente del Consiglio Agostino Depretis (1813–1887) l’antesignano leader che inaugurò e, in un certo senso, brevettò la pratica del «trasformismo». Quel concentrato di compromessi, clientelismi, manovre di corridoio, spregiudicatezza nelle alleanze, incoerenza ideologica con la linea del partito o della coalizione che echeggiano oggi come allora, assoggettando i buoni propositi di partenza alle solite debolezze opportunistiche dei singoli. L’insieme di queste pratiche è stato efficacemente sintetizzato negli anni ’60 da Giulio Andreotti che, con una delle sue folgoranti battute, paragonò la carriera politica ad una sala cinematografica: «Chi entra in sala deve sistemarsi nel primo posto libero che trova; poi appena fa meno buio, o tra il primo e secondo tempo, potrà spostarsi verso una poltrona migliore, da cui vedere meglio».

Rispetto ad anni in cui il trasformismo era esercitato in pieno corso di legislatura, oggi assistiamo all’anomalia di un trasformismo, ancora più spinto, di tipo «preelettorale». Protagonisti sono, in questo caso, tutti quelli che intendono la politica come un taxi da prendere per raggiungere una posizione personale di prestigio. I taxi da scegliere, di questi tempi, sono coalizioni e partiti ai quali ci si avvicina o ci si allontana sulla base di calcoli di pura convenienza.

Solitamente ci si accosta alle formazioni giudicate in crescita secondo i sondaggi e, soprattutto, si tende a privilegiare quelle giudicate in grado di assicurare un’elezione quasi certa. L’importante, in ogni caso, è entrare nel palazzo e, possibilmente, non uscirne prima dei cinque anni per godere di tutti i benefici connessi. Il discorso, ben inteso, non è riferito a quei politici, fortunatamente non pochi, che sono soliti svolgere il loro impegno parlamentare con senso di appartenenza, con zelo e correttezza istituzionale.

Molti dei protagonisti di questo trasformismo preelettorale sono rintracciabili – secondo quanto emerge dalle cronache giornalistiche e dai dibattiti televisivi – tra quei 324 parlamentari che nella trascorsa legislatura si sono segnalati per ben 501 cambi di casacca, passando da un partito all’altro alla ricerca di alleanze e posizioni più convenienti. Non vi è dubbio che ad alimentare questi nuovi comportamenti contribuisca in modo significativo l’ultima legge elettorale – il cosiddetto «Rosatellum» – che introduce nel nostro Paese un sistema misto, proporzionale e maggioritario. È previsto, infatti, che circa un terzo dei seggi tra Camera e Senato sarà eletto in scontri diretti nei collegi uninominali (36%) e i restanti due terzi con sistema proporzionale (64%). Per entrare in Parlamento i partiti dovranno ottenere almeno il 3% dei voti, mentre, se si presentano alleati in una coalizione, quest’ultima dovrà raggiungere almeno il 10%. Per le coalizioni non vengono in ogni caso computati i voti dei partiti alla stessa collegati che non abbiano superato la soglia dell’1%. Se questa soglia è superata, però, i voti vengono comunque attribuiti alla coalizione. Da qui, la corsa a trasformismi e compromessi di vario tipo, che stanno portando alla costituzione di partiti che, pur non potendo superare il 3%, sperano di ottenere più dell’1%, per poi godere di qualche concessione da parte del partito o della coalizione di riferimento. I grandi partiti di coalizione, a loro volta, proprio collegandosi con un buon numero di partitini in grado di prendere più dell’1%, possono trarre grande vantaggio grazie ad elettori che non li hanno direttamente votati. Si profila, dunque, una campagna elettorale ancora più confusa delle precedenti, scandita dall’accrocco d’interessi e personalismi tra coalizioni e grandi e piccoli partiti, al cospetto di un elettorato sempre più disincantato e che si sente sempre meno tutelato.

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