Quelle navi che vagano
nel mare nostro

Dal 22 dicembre scorso la nave di una organizzazione non governativa (ong) tedesca con a bordo 32 migranti (uomini, donne, bambini piccoli e minori non accompagnati) vaga nel Mediterraneo alla ricerca di un porto sicuro d’approdo. L’equipaggio e le persone imbarcate hanno trascorso Natale e Capodanno in balìa delle onde e delle rigide temperature invernali. Le condizioni meteo sono date in peggioramento. Una seconda nave, della stessa ong, il 29 dicembre è invece entrata nelle acque territoriali di Malta ma non può avvicinarsi alla costa. Trasporta 17 migranti, anche in questo caso salvati da un naufragio. La stessa concessione ieri è stata fatta da Malta alla prima nave. Al momento le persone a bordo dei due natanti stanno bene ma i rischi aumentano, con la possibilità di contrarre malattie.

Lo stallo nel quale si trovano le due imbarcazioni è umanamente vergognoso, l’emblema del mai abbastanza ribadito fallimento delle politiche migratorie dell’Europa. Siamo ormai al tragicomico: 30 Comuni tedeschi si sono offerti di accogliere i migranti ma prima devono essere sbarcati. Nessun Paese affacciato sul Mediterraneo è disponibile a consentire l’attracco. Non più la Spagna che nei mesi scorsi aveva aperto canali di approdo, non la Francia, né l’Italia: «Abbiamo già dato» ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che da un po’ di tempo parla raramente del tema migrazione. Lo considera risolto con la chiusura dei porti: nel 2018 rispetto all’anno precedente gli sbarchi sono crollati dell’80,42%, 23.370 le persone giunte in Italia (il trend era già stato avviato col ministro Marco Minniti, ma certo il sigillo ai porti è stato decisivo).

Il vice premier però non parla più nemmeno delle espulsioni: sono calate del 20% (dalle 577 al mese del 2017 alle 463 di quest’anno, secondo i dati del Viminale, cioè del ministero retto dal leader leghista). Del resto non risultano nuovi accordi di riammissione con Paesi di provenienza dei migranti (attualmente sono quattro: con Egitto, Nigeria, Tunisia e Marocco). In compenso Salvini si è concesso un viaggio in Israele (Stato dal quale non giungono irregolari in Europa) e prossimamente andrà in Polonia (che fa parte dell’Ue e i suoi cittadini hanno libertà di movimento nell’Unione).

L’Europa non ha uno straccio di piano per una politica migratoria complessiva e l’unica iniziativa è il «Global Compact» dell’Onu sottoscritto da 164 Paesi, ma non dall’Italia che ha demandato la scelta definitiva al Parlamento. L’Ue, anche in vista del voto di maggio, sta invece giocando una partita politica sulla pelle dei migranti. Le chiusure dei porti garantiscono una rendita elettorale altissima ma non rappresentano una gestione complessiva del fenomeno che è invece necessaria. Gli sbarchi si contraggono ma le partenze non si fermano, da Libia, Tunisia ed Egitto. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati «nel 2019 c’è un bisogno sempre più urgente di mettere fine all’approccio nave per nave attualmente in uso ed è necessario che gli Stati adottino un accordo regionale che permetta ai capitani di sapere con chiarezza e prevedibilità dove far sbarcare i rifugiati e i migranti soccorsi nel Mediterraneo». Non tutti infatti vengono intercettati e respinti dalla Capitaneria di porto libica. Considerare poi la Libia un porto sicuro è una cinica fesseria, oltre che una violazione del diritto internazionale. La detenzione dei migranti è brutale: decine di testimonianze lo confermano. La più recente riguarda il piccolo eritreo Haid, morto su una nave dei soccorritori nel Mediterraneo, dopo essere passato dai «centri di accoglienza» (abusata definizione ipocrita) libici. Il decesso è avvenuto per fame: Haid aveva 3 mesi e pesava solo 3 chili e 100 grammi, come un neonato.

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