Questa Atalanta
Mondo e l’Europa

Solo Emiliano Mondonico aveva portato l’Atalanta così in alto. E chissà che parole argute avrebbe, adesso, per togliere quella smorfia arrabbiata, per non dire triste, dalla faccia degli atalantini. Ci speravano ancora, in fondo, nel sesto posto, e in quell’Europa League presa dalla porta principale, non dall’anticamera - e che anticamera - di quella fila di sei partite internazionali da giocare chissà dove nelle settimane in cui di solito si incontrano gli elettricisti della Val Seriana. Solo Emiliano Mondonico aveva portato l’Atalanta in Europa per due volte di fila: la prima finì subito contro lo Spartak Mosca; la seconda la giocò Pierluigi Frosio e si spinse fino ai quarti, persi contro l’Inter.

Adesso, l’Atalanta è di nuovo in Europa. Ed è un’Atalanta geneticamente diversa da quella di Mondonico. Il Mondo amava la sua «Atalanta operaia», che aveva anche ottimi piedi, ma soprattutto uno spirito umile, a volte sbarazzino, quella capacità di provarci contro tutte, Davide contro Golia, piccola contro le grandi, sì, ma sempre capace di tirarti lo scherzetto impertinente.

Questa Atalanta è diversa. Non è ancora Golia, ma di certo non è più Davide. Non è più la squadra che con le grandi prova a pareggiare e poi magari (ma proprio magari) vince, com’è stato praticamente sempre: è la squadra che spesso vince, e comunque ci prova sempre, e di certo non si sente inferiore. È una squadra più adulta, che non ha paura, che è allergica al rimorso di non averci provato fino all’ultima delle possibilità. Questa è la caratteristica più importante, quasi genetica, che emerge da queste due stagioni incredibili, straordinarie, trovate voi l’aggettivo. Ed emerge più del bel gioco, che comunque conta, perché rende meglio «vendibile» il prodotto, perché aiuta a riempire lo stadio anche quando non c’è la Juve.

Tutto questo viene di conseguenza, discende dal cambio di filosofia, dal salto in avanti delle competenze. Se si contano solo le squadre europee, si superano di sicuro (e la stima è certamente per difetto) le cento società che hanno uno scouting organizzato. Cento staff che hanno gli occhi sul mondo. Questo rende l’idea di quanto occorre essere bravi, veloci, attrezzati, per arrivare primi su Barrow. Vederlo, prenderlo, portarlo qui. Farlo crescere, portarlo in serie A, e poi chissà. L’Atalanta di oggi arriva prima, su Barrow. Certamente su altri sarà arrivata seconda, ma ora i fatti dicono che l’Atalanta è diversa. È quel che ha scritto Stromberg su questo giornale prima della partita col Milan: l’Europa adesso sa chi è l’Atalanta, cosa fa, come si comporta.

È un salto gigantesco, che va ben oltre le vittorie sul campo. Di questo è giusto dare riconoscimento anzitutto ad Antonio e Luca Percassi, che hanno reso l’Atalanta così somigliante al loro spirito di imprenditori sempre «avanti», capaci di assumere dirigenti tecnici di così alto livello come Giovanni Sartori, come Maurizio Costanzi. E capaci di completare la metamorfosi con Gian Piero Gasperini. Che ha di certo un carattere non facile, che a volte esagera, tutti i «che» che sappiamo. E però in mano a lui l’Atalanta è un’altra cosa. In mano a lui, la squadra diventa il frutto di tutto quel che si fa e si decide alle scrivanie di Zingonia. Perciò come non capirle, quelle smorfie quasi tristi, sicuramente arrabbiate, per questo sesto posto che non è arrivato. Ma sorridi, grande Atalanta: sei in Europa per la seconda volta, là dove soltanto Emiliano Mondonico aveva saputo portarti. Buone, meritatissime vacanze. Poi, là dove c’erano i bravissimi elettricisti della Val Seriana ci sarà l’Europa League. Ci si vede, ragazzi.

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