Se i 5 Stelle vanno
a caccia dei moderati

Ogni giorno ha le sue spine. L’avvicinamento alle elezioni europee del 26 maggio è una sfida al calor bianco tra i due partiti di governo, Lega e 5 Stelle, senza risparmio di colpi. Ieri Matteo Salvini ha ribadito che i porti sono chiusi, riferendosi alla nave Sea Watch con a bordo 65 migranti salvati in acque libiche tre giorni fa, e che «non c’è primo ministro che tenga». La risposta dell’altro vicepremier, Di Maio, non si è fatta attendere: «Basta uomini soli al comando».

Giovedì, dopo l’arresto del sindaco leghista di Legnano Gianbattista Fratus nell’ambito di un’inchiesta per corruzione e appalti, il leader dei pentastellati ha chiesto le dimissioni del primo cittadino e parlato di una nuova Tangentopoli, facendo seguito a un’altra inchiesta lombarda su nomine e appalti, che ha portato a 43 arresti e un centinaio di indagati tra politici (compreso il governatore Attilio Fontana, uomo del Carroccio, per abuso d’ufficio) e imprenditori. Il richiamo storico a Tangentopoli è però ampiamente inappropriato. Allora si trattava di un sistema complessivo di finanziamento irregolare dei partiti, che erano dominanti nella vita politica e condizionavano strettamente quella economica attraverso un’ampia rete di aziende pubbliche e il controllo delle maggiori banche. Ora si assiste a iniziative individuali di qualche esponente politico non certo di primo livello, con i partiti sfilacciati e senza controllo.

Potremmo andare indietro per giorni e giorni, documentando il conflitto aperto tra i due partner di governo. Nemmeno il famoso contratto basta più come collante. Anche perché nel frattempo si sono impantanati dossier come quello sulle autonomie regionali, vitale per la Lega. Salvini appare nervoso, come testimonia la rimozione di striscioni di contestazione dal contenuto innocuo, o la reazione, a Settimo Torinese, alle rimostranze verbali a un comizio, quando il ministro dell’Interno se l’è presa anche con i responsabili del servizio d’ordine della polizia che avrebbero permesso la protesta. Ci sono poi le irruzioni nei selfie, dalla donna che al momento dello scatto ha chiesto a Salvini «allora non siamo più terroni di m….a?» a un ragazzo che gli ha domandato «dove sono finiti i 49 milioni della Lega?».

Ma il profilo Facebook del «capitano» è un susseguirsi di filmati dei comizi che tiene in tutta Italia, di piazze piene e di folle plaudenti che inneggiano al leader. Dal 1° gennaio scorso il ministro ha trascorso al Viminale solo 17 giorni effettivi, 22 part time, ma ha partecipato a 211 eventi pubblici in giro per il Paese: comizi elettorali, feste della Lega, appuntamenti di partito. Il suo predecessore agli Interni, Marco Minniti (Pd), gli ricorda «che il ministro dell’Interno è terzo per antonomasia, deve garantire i diritti di tutti. Il suo compito non è fare comizi, ma assicurare che altri possano farli». Però Salvini è anche capo di un partito diventato nazionalista e che ha quindi allargato i confini d’azione, oltre ad aver spostato il baricentro decisamente a destra, come confermerà l’incontro di oggi a Milano in piazza Duomo con 18 leader sovranisti europei, compresa Marine Le Pen e l’ultradestra tedesca dell’Afd.

Così Di Maio, in questo eterno contenzioso, lunedì ha rilasciato un’intervista a «la Repubblica» nella quale accredita il suo movimento come moderato e, tanto per cambiare, tira stilettate alla Lega («la pianti con i fucili. C’è chi soffia sul fuoco, temo che esasperando i toni aumenti la tensione sociale. L’ultradestra è un pericolo, siamo in democrazia»). Un messaggio al grande popolo dell’astensione e a chi non si riconosce ancora nel Pd, o più, dopo la svolta a sinistra impressa dal nuovo segretario Nicola Zingaretti. Quella del capo politico dei 5 Stelle è un’operazione tutta da verificare (soprattutto al momento del voto, alle Europee e alle Politiche). Dare ora la patente di moderato al movimento è arduo, un azzardo: populista e giustizialista, insegue il Carroccio su alcuni temi, come l’immigrazione (è stato Di Maio a definire offensivamente «taxi del mare» le navi delle ong che salvano i naufraghi nel Mediterraneo e ancora nei giorni scorsi a dire «prima gli italiani» nell’assegnazione delle case popolari, a proposito del linciaggio della famiglia rom mentre a Roma entrava nell’appartamento aggiudicatogli dalle graduatorie comunali). È ancora lunga la strada da fare per diventare moderati, dismettendo gli abiti dell’estremismo. Non basta un’autodefinizione.

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