Semestre italiano
Occasione persa

Il semestre europeo dell’Italia, diciamo la verità, non é stato di quelli memorabili. L’Europa continua a segnare il passo al bivio tra il nulla e la vera unificazione che, per significare qualcosa, vuol dire cessione di sovranità.

Unico antidoto, comunque, ad una crisi che non é più definibile solo scetticismo, ora che viene cavalcata con successo democratico dagli Tsipras, Farange, Le Pen e dai loro imitatori italiani di destra e sinistra. La Germania sembra tentata di lasciar andare alla deriva Atene, ora che le sue banche un po’ sono rientrate. In Grecia, 5 anni e 240 miliardi dopo, con le elezioni di gennaio si rischia di tornare punto a capo, e mentreentrano felici nell’euro gli ex satelliti sovietici, potrebbe uscirne il simbolo stesso dell’Europa.

Sei mesi fa le speranze erano più forti, perché l’Italia è un Paese fondatore, non l’oggetto misterioso Lettonia che le succede il 16 gennaio alla guida e che , debolissima politicamente, affronterà un semestre di fuoco. Si sperava che l’energia renziana potesse dare un’impronta più forte e convinta, ma in realtà all’Europa manca uno statista alla Kohl. Le elezioni europee, Renzi le ha vinte da solo, ne é uscita una maggioranza di centrodestra, e Juncker é di quei Dc di gomma, che assorbono qualsiasi attacco, specie se, sbagliando, si punta conformisticamente sugli aspetti burocratici, trascurando che tra Berlino, Parigi e Bruxelles la partita é sempre innanzitutto politica.

Renzi é comunque rapido anche nel capire quando non é aria. Accantonati i toni roboanti sul semestre, che erano serviti per mettere a riposo Enrico Letta, il più amato in Europa, ha solo ottenuto il contentino di un ruolo di prestigio per la Mogherini, profittando del fatto che i leader europei sono ben felici di avere rappresentanti scoloriti nei rapporti esteri, lo si era già visto la volta scorsa. É così tornato lesto ad occuparsi di Italia, e la sua é stata infine una presidenza di routine, al minimo sindacale.

A noi italiani, la guida europea poteva servire per tre ragioni: maggior flessibilità nelle regole, e poi un po’ di aiuto su due temi bandiera, l’immigrazione e la pressione sull’India per il caso marò. A sei mesi di distanza, quest’ultimo é tema ancora italo-indiano, mentre la conclusione di Mare nostrum non é esattamente l’assunzione collettiva di responsabilità che ci voleva per gestire un’emergenza infinita. Anzi, i recenti casi dell’Adriatico hanno segnalato che un Paese, sia pur nei guai, ma dell’Unione europea, come la Grecia, ha scaricato su di noi anche questioni di sua stretta pertinenza.

Quanto alla flessibilità, la parola stessa é sparita. Ci auguravamo almeno una seria considerazione della richiesta di allentamento del patto di stabilità interno, che tormenta i nostri Comuni più virtuosi, ma non se ne è fatto nulla, e siamo ancora ad auspicare che si possa scorporare, dal calcolo del deficit, il ricorso agli investimenti promessi. Annunciati come una conquista del semestre italiano e una contropartita al ruolo di cani da guardia degli interessi tedeschi emerso con la scelta dei Commissari-chiave, sono in realtà poca cosa. Non 300 miliardi freschi, come era stato raccontato, ma una ventina di miliardi, riciclati dai conti europei, a far da «leva» finanziaria. Alla fine, spiccioli divisi per 29.

Il semestre, dunque, é stata un’occasione persa. Anche sul fronte interno, perché non si riesce a far capire, con i fatti, agli italiani, che serve davvero più Europa e che i pericolosi discorsi sull’uscita dall’euro non si possono controbattere con la retorica. Mezzo secolo di europeismo rischia di andare in fumo, ma l’unica scelta é ancora quella federale, dando al continente una vera banca centrale, un vero governo, una vera politica estera, una vera sovranità.

Passeranno 14 anni prima che tocchi ancora a noi guidare un semestre. Ma probabilmente non accadrà più, se non altro perché si capirà che non ha più senso questo alternarsi alfabetico vacuo, che si brucia in pochi mesi. Con un Paese che finge di comandare e gli altri che si impegnano solo a non lasciarglielo fare.

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