Spagna, divisione
drammatica e irreale

Quel che non doveva succedere è puntualmente successo e non occorre avere virtù profetiche per pensare che gli eventi di ieri in Catalogna lasceranno una profonda cicatrice nella vita di tutta la Spagna. Un referendum consultivo di nessun valore concreto, deciso dalle autorità catalane per forzare la mano a Madrid e tenere insieme maggioranze politiche locali a dir poco eterogenee e di dubbia efficienza, è stato annullato non dalla politica e nemmeno dalla legge ma dall’intervento della polizia.

Centinaia i feriti per le azioni della Guardia Civil, che ha così regalato ai disinvolti dirigenti catalani altrettanti eroi e martiri. Nello stesso tempo, un voto che nessuna istituzione al mondo ha preso sul serio e che, in punta di legge, non ha una sola motivazione valida, ha spaccato un Paese cruciale per l’Europa come la Spagna e diviso una nazione che fin dalla Costituzione del 1978, con la creazione delle diciassette Comunità autonome (una delle quali è appunto la Catalogna) dopo decenni di centralismo, si è dotata di una struttura larghissimamente rispettosa delle competenze locali. Al punto che lo Stato centrale si riserva di intervenire solo sulle materie che le Comunità non abbiano riservato a sé nel proprio Statuto. In queste condizioni come possono i catalani definirsi un popolo oppresso? Basta avere un glorioso passato (si parla, peraltro, di almeno quattro secoli fa) per decidere di smantellare il presente?

Da quanto è successo e sta succedendo in Catalogna, però, emerge anche l’incredibile sprovvedutezza politica del Governo di Madrid e del suo primo ministro, Mariano Rajoy. Nel 2012 la Corte Costituzionale (lo stesso organismo che aveva dichiarato inammissibile il referendum di ieri) aveva sconfessato gli accordi siglati nel 2006 per concedere alla regione una ancor più pronunciata autonomia, accordi che erano stati peraltro approvati dai catalani. Poco dopo partì la grande crisi economica mondiale e il tema dell’indipendenza, in una Catalogna a livello regionale amministrata molto mediocremente, cominciò a funzionare anche come paravento, come una grande bandiera che nascondeva, all’insegna di «Madrid ladrona», anche gli altri problemi.

Di fronte a tutto questo il Governo centrale è rimasto inerte o quasi, convinto forse che alla fine non sarebbe successo nulla. Rajoy si deve oggi confrontare con la mezza insurrezione della polizia catalana, i Mossos de Esquadra, che hanno disobbedito agli ordini e si sono rifiutati di intervenire contro chi manifestava o voleva votare. Ma soprattutto Rajoy è riuscito a consegnare agli indipendentisti quel monopolio dell’opinione pubblica catalana che fino a ieri non avevano mai avuto. Tutti i sondaggi degli ultimi anni hanno mostrato che, a dispetto di tanto rumore, la causa separatista era lungi dal raccogliere la grande maggioranza dei favori. Adesso, dopo gli scontri, gli arresti, le cariche della Guardia Civil, le manganellate, i proiettili di gomma sparati sulla folla, chi avrà ancora il coraggio, in Catalogna, di pronunciarsi per l’unità nazionale? Chi rischierà la nomea del traditore per difendere la causa di un Governo sembrato lontanissimo dalla realtà locale e incapace di un minimo di dinamismo politico?

Con questo gran pasticcio alle spalle, diventa molto difficile prevedere ciò che potrà accadere nel prossimo futuro. Le due parti, con le loro azioni improvvide, sono riuscite a confinarsi nelle posizioni estreme. Nessun discorso sull’indipendenza per Madrid. Solo l’indipendenza, perché ogni altra ipotesi ora sarebbe una sconfitta, per Barcellona. In mezzo c’è la realtà. Dell’economia, che imporrebbe alla Spagna di considerare il ruolo fondamentale della Catalogna nel sistema produttivo nazionale e alla Catalogna di capire che produrre non è la stessa cosa di amministrare, altrimenti la Comunità non avrebbe il deficit che invece ha. E via via della cultura, della lingua, persino dei sentimenti, che nella questione specifica giocano un ruolo importante.

Da questa contrapposizione, ridicola e drammatica insieme, si potrà uscire solo con la politica. Quella che è finora mancata e che i contendenti faranno meglio a riscoprire alla svelta, prima che il pasticcio sfugga loro totalmente di mano.

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