Stati anti-Europa
coi fondi dell’Europa

C’è molta ipocrisia nell’agire politico degli Stati europei cosiddetti sovranisti. L’Ungheria ha costruito la famosa barriera anti-migranti al confine con la Serbia, ma nel solo 2018 ha concesso un permesso di soggiorno a 50 mila immigrati economici (il doppio del 2017, con una popolazione che è un sesto dell’Italia) perché servono all’economia magiara. Tra il 2017 e il 2019 solo la Polonia ha accolto due milioni di lavoratori stranieri. Non sono i siriani, gli iracheni o gli afghani che percorrono la rotta balcanica e che avrebbero diritto all’asilo politico, ma uomini bianchi e cristiani provenienti da altri Stati dell’Est Europa. Questo bacino si sta esaurendo e i sovranisti sono costretti a prendere manodopera altrove, dal Vietnam all’India.

Ma cambiamo fronte. Il presidente della Banca centrale ungherese, György Matolcsy, è un anti-euro convinto, un po’ complottista (definisce la moneta unica una trappola della Francia) e invita a svegliarsi «da questo sogno sterile e dannoso». Ma ai magiari l’euro piace: come rivela un sondaggio di Eurobarometro, il 60% dei cittadini è d’accordo con la sua adozione. L’economia del resto si è molto avvantaggiata anche dall’ingresso nell’Ue. Dal 2004 a oggi, in media il Pil è cresciuto di oltre il 2%, grazie soprattutto agli investimenti europei sotto forma di fondi strutturali, di coesione e di sussidi.

Il «New York Times» ha condotto un’inchiesta in nove Paesi dell’Est europeo sull’uso dei sussidi all’agricoltura e ha scoperto che, soprattutto in Ungheria, il denaro che arriva da Bruxelles viene utilizzato per ricompensare oligarchi, amici, parenti, compagni di scuola e alleati politici del premier Viktor Orbán, ideologo della democrazia illiberale. Sono cifre rilevanti. Solo nel 2018 il 38% del bilancio dell’Ue è stato destinato all’agricoltura: 58,5 miliardi di euro. Ma le istituzioni europee non controllano come vengono spesi i sussidi diretti e i governi spesso ne dispongono a proprio piacere. In Ungheria, dal 2011 al 2015, lo sfruttamento di centinaia di ettari di terra è andato a beneficio di imprenditori vicini a «Fidesz», il partito di Orbán. Il «New York Times» menziona anche il caso di Meszáros e Sándor Csányi, proprietari di aziende agricole e amici del primo ministro che nel 2018 hanno ricevuto 28 milioni di euro di sussidi su un totale di 1,8 miliardi di euro di quelli che l’Ungheria dispone ogni anno.

L’inchiesta riporta altri casi analoghi: in Repubblica Ceca, dove è implicato direttamente il premier Andrej Babis, in Bulgaria e Slovacchia, dove il giornalista Ján Kuciak fu ucciso nel febbraio del 2018 perché si occupava di truffe ai sussidi europei e di infiltrazioni mafiose nel sistema agricolo. L’inchiesta giornalistica apre una riflessione sul rapporto che si è instaurato tra l’Ue e gli Stati dell’Est europeo, molti dei quali oggi euroscettici e accusati di ledere lo Stato di diritto. Il leader del partito nazionalista polacco PiS, Jaroslaw Kaczynski, sintetizzò così questo rapporto: «Per noi l’Unione europea è un bancomat», riferendosi alla spesa che Bruxelles ha affrontato negli anni sotto forma di fondi. La Corte di giustizia dell’Ue ha dichiarato di recente che la riforma della magistratura polacca introdotta nel 2017 viola il diritto dell’Unione e il principio secondo il quale i giudici dovrebbero essere protetti dalla rimozione dall’incarico per motivi politici. Il PiS inoltre ha già pronta una legge che vorrebbe limitare la libertà dei media.

La destinazione dei fondi agricoli non è di competenza della Commissione europea (che ha proposto più volte una revisione) ma del Consiglio e dell’Europarlamento. Il meccanismo riguarda anche i fondi di coesione e strutturali. La Finlandia, presidente di turno della Ue, ha avanzato una proposta di cambiamento: modulare l’emissione dei fondi a seconda dello Stato di diritto. Sarebbe ora.

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