Tagliati i fondi
Periferie tradite

Chissà se alla Camera verrà ripristinato il Piano periferie (di renziana memoria) cancellato con un tratto di penna dalla maggioranza di governo senza che l’opposizione se ne accorgesse, tant’è che i piddini hanno addirittura votato a favore dell’emendamento al decreto Milleproroghe. Quando hanno riaperto gli occhi - era notte fonda al Senato - i parlamentari del centrosinistra si sono accorti di aver inconsapevolmente contribuito a togliere ai Comuni quasi due miliardi che, i loro governi Renzi e poi Gentiloni, avevano destinato alla «ricucitura» delle periferie del nostro Paese. Piani già avanzati, soldi impegnati, appalti pronti per essere cantierati, come si dice… niente, tutto annullato, o meglio: congelato da qui al 2020. E il rischio, dicono furibondi all’Anci, l’associazione dei Comuni, è che adesso non solo non si realizzi quanto era stato progettato, ma si creino dei buchi di bilancio.

Di fronte al mare di critiche e proteste di centinaia di sindaci sorge dunque la domanda se la norma contestata del Milleproroghe possa essere modificata a settembre a Montecitorio. Non sembra però l’intenzione del governo che in queste ultime ore ha tenuto fermo il punto, sia per bocca della viceministro dell’Economia Castelli (M5S) sia del suo collega leghista Garavaglia.

Il loro punto di vista è il seguente: non c’è alcuna cancellazione dei fondi, ma solo il congelamento per due anni di progetti indietro coi tempi; i migliori - 24 per circa mezzo milione di euro - verranno comunque mantenuti, e gli altri fondi non erogati andranno a sbloccare gli avanzi di bilancio di quei Comuni virtuosi che, per via del Patto di stabilità interno, non possono spendere i fondi che pure hanno in cassa. Tant’è vero che qualche sindaco che esulta si trova, a Lodi per esempio, ma sono più numerosi quelli che si lamentano, protestano, minacciano ricorsi contro uno Stato cui rimproverano di esser venuto meno alla parola data per iscritto con apposite convenzioni. E tra i primi cittadini sul piede di guerra non mancano appartenenti all’attuale maggioranza come il livornese Nogarin, grillino, e il ternano Latini, leghista, fresco di conquista dell’ex Comune più «rosso» del Centro Italia.

La cosa è importante in sé perché riguarda, come dicevamo, centinaia di amministrazioni comunali e fondi pubblici per circa due miliardi che avrebbero fatto da moltiplicatore per investimenti in pubblici servizi e opere dando lavoro e portando ossigeno alle imprese. Ma quel che colpisce di più è il fatto che quelle risorse erano finalizzate alle periferie dell’Italia. Proprio quelle zone urbane, marginali eppure sterminate, di cui tutti temono, prima o poi, l’esplosione per via dell’abbandono in cui sono state lasciate negli anni della crisi economica, del degrado in cui versano – basta guardare ai cumuli di immondizia e alle strade dissestate di Roma nei quartieri più dimenticati e lontani dal Campidoglio –, del conflitto sempre latente tra italiani in difficoltà e immigrati, dei servizi carenti e dell’aumento di fenomeni criminosi, dallo spaccio della droga in avanti. Curiosamente, proprio quelle periferie hanno massicciamente votato a favore dell’attuale maggioranza giallo-verde: a Nord come a Sud i quartieri popolari hanno sostenuto la Lega o i Cinque Stelle, voltando bruscamente le spalle alle sinistre che un tempo vi regnavano e che conservano i loro fortini solo nelle zone «borghesi» delle città.

Ma, al di là del dato elettorale e della convenienze dei partiti, resta il fatto che si mette da parte l’unico abbozzo di politica delle periferie che pure era stata concepito: nessuno si augura che in Italia si ripeta il fenomeno francese della rivolta delle banlieu, ma certo se si continua a negare agli abitanti delle periferie un qualche segno di attenzione da parte dello Stato, non ci si potrà poi meravigliare del loro pericoloso rancore verso la vita delle città «ufficiali» da cui si sentono esclusi.

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