Teniamo acceso
l’albero della vita

Quel gesto di solidarietà come la parabola dei talenti. Quando il terremoto causò settemila morti in Nepal, gli operai che stavano costruendo il padiglione Expo del Paese himalaiano lasciarono il sito per tornare a casa a riabbracciare i loro cari o a scavare sotto le macerie. Allora artigiani bergamaschi e bresciani si rimboccarono le maniche e conclusero gratuitamente il lavoro. Oggi, a tre giorni dalla fine di Expo, loro e le loro imprese hanno un carnet di opere prenotato per anni.

Questo si racconta sul Decumano che sabato sera chiuderà. L’esposizione più gufata della Terra ha superato i 20 milioni di visitatori, ma il valore dell’indotto, dei contratti, dell’immagine restituita al mondo dall’Italia - luogo che viene percepito come «la fabbrica del bello» - è ancora più importante di quel simbolico traguardo.Quando lo sceicco del Qatar ha rilevato i cantieri dei grattacieli milanesi di Porta Nuova (valore di mercato 2 miliardi di euro) in molti si sono chiesti perché avesse investito così pesantemente in casa nostra. E lui risposse: «Perché non c’è uomo al mondo che non sogni di essere anche un po’ italiano».

Expo, da missione impossibile a missione compiuta. E dire che il Primo Maggio, mentre i black block mettevano a ferro e fuoco il centro di Milano, nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato su tutto questo. È stata l’Expo dei prodotti della terra, del Padiglione Zero, di Leonardo da Vinci, dei cuochi stellati, dei bambini in gita, del Cirque du Soleil, del mondo che si stringe la mano, delle salamelle da enorme fiera paesana (sì, anche questo), degli affari e dei numeri. Ma è stata soprattutto l’Expo della gente. Ed è stata la gente, i visitatori, le famiglie in coda dalle sette di mattino, a zittire gli scettici e i prevenuti. Senza il consenso di popolo, senza le associazioni, senza gli oratori e i Cre, senza quella formidabile spinta che viene dal basso, l’Expo avrebbe perso la sua gara.

«Nutrire il pianeta, energia per la vita». Il messaggio è passato? Forse sì, anche se culturalmente siamo stati troppo timidi. Accanto ad asado e piadine ci si aspettava un serio dibattito sul futuro delle coltivazioni e sugli Ogm. Invece solo un silenzio assordante, come se evocare il tema chiave dei prossimi decenni fosse una bestemmia. Proprio in questi mesi il governo ha deciso di bloccare tutto, anche la ricerca. Con un’ipocrisia culturale di fondo, perché il 90% dei mangimi animali importati in Italia sono Ogm. Con venti milioni di sì e qualche domanda inevasa si chiude Expo. Gli ottimisti dicono che il trionfo varrà un punto di Pil, i pessimisti che dal tre novembre partiranno gli avvisi di garanzia. Sarebbe già un successo epocale se l’Albero della Vita - almeno dentro di noi - rimanesse acceso.

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