Tria tiene dritta
la barra dei conti

Giovanni Tria, fino a pochi mesi fa autorevole ma sconosciuto professore di Tor Vergata, continua nella sua lenta ma decisa opera di normalizzazione della politica economica del governo grillo-leghista. Il quadro dato dalle promesse elettorali dei due partiti alleati e, poi, dal cosiddetto «Contratto di governo» ha allarmato non poco i partner internazionali, la Commissione di Bruxelles e la Bce, gli investitori che acquistano i titoli del nostro debito (e ci fanno pagare stipendi e pensioni), e da ultimo anche il Quirinale.

Oltretutto le continue dichiarazioni garibaldine non solo dei due leader di governo ma anche di tanti esponenti grillini e leghisti sulla possibilità di sforare il tetto del 3%, di tenersi pronti dei fantomatici «piani B» per l’uscita dell’Italia dall’euro in vista di una «ineluttabile» fine dell’Unione europea , avevano creato un nuvola di confusione il cui risultato principale è stato quello di far schizzare lo spread verso la quota psicologica dei 300 punti e di allarmare le agenzie di rating che hanno il potere di declassare i nostri titoli ad un livello tale da impedire a tanti investitori di acquistarli. Mentre la febbre cresceva, lui, Giovanni Tria piano piano ha cominciato ad aprire le manichette anti-incendio. E così si sono moltiplicati gli interventi – senza mai un’impuntatura polemica, in maniera prudente e autorevole insieme – volti a dare una sistemata alla caotica marcia giallo-verde verso una nuova economia. Le parole che più si sono usate a commento delle esternazioni del professore sono state: frenata, riconsiderazione, ammorbidimento, ridimensionamento, ecc.

Tria in realtà parte da un paio di domande semplici: dove troviamo i soldi per le riforme? Quanto ci costa sfidare i mercati e l’Europa? Siccome sono domande più che sensate, alla fine è lui che detta le risposte. Flat tax: si comincia gradualmente, forse si lima un’aliquota, forse se ne accorpano due, poi si fa la pace fiscale e si comincia a tagliare il sistema delle esenzioni fiscali; reddito di cittadinanza: partiamo da quello che c’è, il reddito di inclusione del centrosinistra, poi vediamo. Smantellamento della legge Fornero: si può fare ma passo dopo passo per evitare sfracelli. Cassa depositi e prestiti come una nuova Iri: neanche per idea, è un’azienda privata e come tale si deve muovere. Tav e Tap: meglio farle. E su tutto: il deficit possiamo portarlo al massimo all’1,6% altro che scavallare allegramente il 3 come dicevano Salvini e Di Maio («Se ci facciamo dare qualche miliardo in flessibilità, che senso ha poi spenderlo, con lo spread in salita, per i maggiori interessi sul debito?»). Quanto al debito, non scenderà – come aveva programmato Padoan – ma si stabilizzerà (-0,1%). Naturalmente Tria spera molto in un rilancio degli investimenti pubblici, crollati negli anni della crisi, per poter rinsanguare una crescita che rallenta e non mantiene del tutto le promesse, già modeste.

Il professore naturalmente dice tutte queste cose per prepararsi al momento della vera e propria battaglia, in parte già cominciata: quando si tratterà di far passare prima in Consiglio dei ministri poi a Bruxelles e infine in Parlamento la legge di Bilancio da cui dipende il giudizio internazionale sull’Italia e la sua affidabilità. C’è da giurarci che Tria si stia attrezzando a modo suo: senza mai alzare la voce ma senza indietreggiare. Del resto, lui ha un’arma nucleare in mano: basterebbe solo la minaccia di sue dimissioni per provocare la bufera finanziaria sull’Italia e portare il governo alla caduta.

Questo tutti lo sanno a cominciare dal vero patron del ministro che è Sergio Mattarella, suo scudo di fronte alle pressioni dei partiti e suo garante con tutti quelli dalla cui fiducia dipende il futuro di quello strano Paese che ha il terzo debito pubblico del mondo senza ovviamente essere la terza economia del mondo.

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