Una città ostaggio
di violenti per noia

Bergamo non è Belfast. Sabato pomeriggio la nostra tranquilla città è diventata il teatro di una guerriglia urbana combattuta contro le forze dell’ordine e contro i tifosi dell’Inter da un manipolo di giovani «assettati di sangue», per citare il capo della curva interpretato da Diego Abatantuono in uno dei suoi film più celebri. Che cosa è passato nella testa di quei ragazzi, cosa li può aver spinti a commettere quelle violenze? Non li conosco personalmente e posso solo fare qualche congettura. Secondo me non sono dei proletari arrabbiati, dei precari senza prospettive, dei disoccupati cronici, dei poveri pieni di rabbia.

Non lo sono perché la guerriglia urbana di sabato non esprime una frustrazione sociale di classe, non è legata al disagio delle periferie, non ha alla sua base nessuna, ma proprio nessuna rivendicazione materiale. Al contrario, l’oggetto d’amore per il quale quei giovani sono andati a cercare lo scontro è un’idea, un simbolo. Nel nome del quale malmenare, ferire. Una fede sportiva trasfigurata in una regressione primitiva e identificata con la totalità del bene, del giusto, del vero. Contro tutto e contro tutti. Genericamente contro tutti quelli che non la riconoscono. In modo speciale contro quelli che hanno il torto di esibirne un’altra, con la medesima radicalità, con la stessa barbarie.

Noi contro loro. Così immaginano loro stessi i teppisti di sabato. E tutta la città, tutti noialtri borghesucci rammolliti (nella fantasia dei cretini violenti) costretti ad assistere, a metterci al riparo, a guardare basiti l’incursione degli hyksos, la calata degli unni. E sai che gusto per costoro vederci paralizzati, vittime silenziose e impaurite delle loro azioni. Proviamo a pensare come li fa sentire coraggiosi il vedere quella nostra reazione, immaginarla con gusto per mesi, da quando viene comunicato il calendario annuale della serie A e individuate le «partite a rischio». Immaginiamo come li fa sentire uomini speciali e fuori dal comune il muro dei poliziotti schierato in tenuta di guerra di fronte a loro, l’elicottero che volteggia sulle loro teste. Tutto questo li fa sentire forti, potenti. Quella di colpire e scappare fra le case è un a vecchia strategia di guerriglia . La applicarono ai massimi livelli i terroristi nordirlandesi che si sottraevano alle retate di una delle più efficienti polizie del mondo colpendo all’improvviso - per strada, in un bar, in un ristorante - e poi sparendo nel nulla, inabissandosi nelle periferie urbane, mimetizzandosi con le persone comuni. Fatte necessariamente le debite proporzioni, una differenza è che in quel caso dietro la violenza c’era, pur distorta e resa mostruosa, la causa dell’indipendenza di un popolo. Qui non c’è niente. C’è il vuoto nichilistico, forse la noia di una vita senza scosse, la passione per l’esibizionismo violento, il piacere di fare paura.

Ci chiediamo, girandoci attorno, il motivo per il quale dei giovani possano compiere atti così vuoti e così stupidi. Lo fanno per provare l’adrenalina che viene dall’azione, per percepire quel brivido che lo scontro fa correre lungo la schiena di chi si appresta a combatterlo. Un istinto di violenza primitivo che necessita della nostra partecipazione nel ruolo di spettatori attoniti; della mobilitazione di interi reparti delle forze dell’ordine che potrebbero essere meglio impiegati; e naturalmente di un nemico di turno. Dell’Inter o di qualcun altro, questo conta poco. Forse basterebbe che l’obiettivo non si materializzasse perché la furia non si scatenasse, perché la minaccia rientrasse. Se si limitassero le trasferte del tifo ultrà organizzato (perché Atalanta-Inter non è catalogata come partita a rischio?) si ridurrebbe almeno in partenza anche il rischio di violenza. O forse verrebbe solo incanalata altrove. Ma questo è un altro tema. Enorme.

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