«Webeti» e social network
Ma il problema non è la rete

Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook e quinto uomo più ricco del pianeta, nei giorni scorsi ha fatto visita a Papa Francesco, al quale ha testimoniato affetto e ammirazione. Ai giornalisti, che gli chiedevano un commento sul ruolo svolto dal suo social nella società, ha escluso che questi possa incidere negativamente sui rapporti umani, come molti sostengono, esaltandone, invece, la capacità di avvicinare le persone e creare proficue opportunità d’incontro.

Sarebbe stato interessante, però, conoscere quali siano state le considerazioni svolte dal Papa durante il colloquio, visti i suoi continui richiami ad un uso più corretto e appropriato dei social network, che hanno registrato una crescita esponenziale negli ultimi anni. Secondo l’ultimo rapporto annuale del Censis, sono 19,8 milioni gli italiani che hanno confidenza con almeno uno dei social network esistenti. La conoscenza di Facebook e YouTube è massima tra i giovani di 14-29 anni (rispettivamente 90,3% e 89,2%), risulta elevata tra gli adulti (64,2% e 64%) e scende notevolmente solo tra gli anziani (24,6% e 22,9%). Tra questi ultimi, solo per l’1,5% l’uso è praticamente nullo. Ancora, più della metà dei giovani utilizza Facebook (56,8%) e più di due terzi YouTube (67,8%).

Indubbiamente, oggi la rete rappresenta lo strumento chiave per aumentare tra le popolazioni capacità di dialogo e di risposta in tempi rapidi e con superiore efficacia. L’ultima frontiera del mondo del lavoro, ad esempio, è rappresentata dal «telelavoro». Lavorare tramite il web è oggi possibile perché le opportunità offerte dal mondo di Internet hanno fatto sì che il lavoro cambiasse e che molte attività professionali fossero sempre più incentrate sulla possibilità di guadagnare online. L’utilizzo del web, che consente a tutti di fare opinione e informazione, fornisce anche l’opportunità di una risposta democratica all’egemonia dell’informazione televisiva. Famosa è stata, a suo tempo, l’avversione espressa da Pier Paolo Pasolini a questo mezzo di comunicazione, che definiva reazionario perché metteva il telespettatore in una condizione di passività e inferiorità rispetto a messaggi che, provenendo dall’alto, influenzavano comportamenti e decisioni.

Ma proprio dalla circostanza che la rete consente a tutti di fare opinione e informazione nella massima libertà, possono nascere a volte problemi che contraddicono gli stessi principi democratici. Perché la rete non ha filtri, non è uno strumento di selezione, di separazione del giusto dall’ingiusto, del vero dal falso. Il web è spesso emotività, piuttosto che razionalità; istintività, piuttosto che riflessione. A differenza del passato, sulla rete non si incontrano «Maestri», persone al cui esempio ispirarsi. Chiunque può esprimere la propria opinione senza alcun vincolo, dando sfogo alle proprie frustrazioni, cattiverie e banalità. Giorni fa, dopo una lite su Facebook, in seguito ad una polemica sul recente terremoto che ha fatto emergere affermazioni di cattivo gusto, il direttore del tg LA7 Enrico Mentana ha usato il neologismo «webeti» (web-ebeti) per catalogare gli imbecilli che popolano sempre più frequentemente il web, utilizzando la rete come una discarica di accuse, controaccuse e sciocchezze di ogni tipo. La notorietà di Mentana ha fatto sì che il suo neologismo facesse in poche ore il giro del web e fosse rilanciato dai media. Con la rapidità che contraddistingue le comunicazioni in rete, è stata già avviata una petizione in Change.org per convincere l’Accademia della Crusca ad introdurre «webeti» nel dizionario italiano.

In pochi giorni, poi, a questo neologismo se ne sono aggiunti altri come quello degli «sciacalli del web» o dei «Bufala Bill del Far web». Non è escluso che diventerà una moda inventarne altri ancora. Tutto ciò testimonia che il problema non è la rete, ma l’uso che se ne fa. Sul piano sociale il pericolo maggiore, più volte evidenziato da Papa Francesco, è che il principio stesso di democrazia, su cui si fonda l’utilizzo della rete, possa essere messo in discussione da chiunque cerchi di fare proseliti alimentando facili egoismi a scapito dei doveri di solidarietà e responsabilità.

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