#GiovanniXXIII: pellegrinaggio al termine
L’intervista al cardinal Parolin

La peregrinatio di Giovanni XXIII volge al termine. Con il cardinale Parolin ci soffermiamo sul valore dell’iniziativa per i fedeli e sull’eredità di Papa Roncalli per la Chiesa e per il mondo.

Il cardinale Pietro Parolin presiederà stasera a Sotto il Monte, nella diocesi di Bergamo, la celebrazione conclusiva della storica peregrinatio delle spoglie di San Giovanni XXIII nella sua terra natale. Il segretario di Stato si sofferma con Vatican News sull’importanza di questo evento e sull’attualità della figura e del Magistero di Papa Roncalli.

La peregrinatio nella sua terra natale ha dimostrato la devozione e il grande affetto che ancora oggi la gente ha per San Giovanni XXIII oltre 50 anni dopo la sua morte. Perché, secondo lei?

« Credo che la grande devozione e l’affetto che la gente continua a dimostrare nei confronti di San Giovanni XXIII siano dovuti alla stessa ragione per cui il Papa, la sua figura, è entrata immediatamente nel cuore dei fedeli dopo la sua elezione al Soglio di Pietro. Identificherei questa ragione fondamentalmente nella sua bontà: infatti era chiamato “il Papa buono”. Nel suo volto sereno, sorridente e accogliente, si poteva vedere quasi un riflesso della bontà di Dio. E questo la gente l’ha colto subito. Una bontà che si rivolgeva soprattutto ai piccoli, alle persone quasi ai margini della società o perlomeno non tenute in considerazione: pensiamo ai bambini, con la visita all’ospedale Bambino Gesù, pensiamo ai carcerati, con la sua visita al carcere di Regina Coeli. Pensiamo anche ai lontani. Questo desiderio di incontrare i lontani, coloro che non erano nella Chiesa, coloro che non ne condividevano la vita, non ne condividevano l’insegnamento. Credo che sia questa la chiave di lettura dell’uomo e del sacerdote, del vescovo e del Papa. Giovanni XXIII, davvero, è stato una grande luce. I Santi sono sempre una grande luce che il Signore ha acceso nelle tenebre del nostro mondo e che continua a illuminare ancora questa nostra umanità».

Cardinale Parolin, quali ricordi personali ha della figura di Papa Roncalli? Cosa rappresenta questo Papa santo nella sua vita di cristiano e nel servizio alla Santa Sede?

«È stato il primo Papa che ho conosciuto, dopo l’età della ragione. Ricordo soprattutto la grande mestizia, il senso di sgomento che si percepiva quasi in maniera palpabile in occasione della sua morte. Io avevo allora otto anni e cominciavo a rendermi conto delle cose. Ho notato proprio questa atmosfera, questo clima: è come se stesse morendo qualcuno della propria famiglia, come se stesse morendo un papà, perché tutti lo sentivano tale. Questo è il ricordo più diretto e più vivo che ho del tempo di Papa Giovanni. Poi, naturalmente, anche attraverso la televisione che in quel tempo cominciava a diffondersi - anche se non come ai giorni nostri - è stato possibile seguire alcuni momenti, soprattutto quelli riguardanti il Concilio Vaticano II. Per quanto riguarda la mia vita, credo che la figura di Papa Giovanni sia una figura di grande ispirazione per il servizio che rendo alla Chiesa, a cui sono stato chiamato, perché mi pare che lo possiamo definire un po’ – come qualcuno ha fatto – “l’uomo dell’incontro”. Credo che la diplomazia sia proprio questo: il tentativo di superare tutte le barriere e di incontrarsi per affrontare insieme i problemi dell’umanità di oggi. Quindi, in questo senso, è stato e continua ad essere un’ispirazione per me. Questa capacità di simpatia umana e cristiana che ti fa entrare subito in rapporto con il tuo interlocutore. Bisogna dire poi che tutto questo è stato sostenuto da una grande spiritualità. Chi legge “Il Giornale dell’anima” - io ho cercato di leggerlo fin dai tempi in cui ero seminarista - si accorge come questi atteggiamenti di Papa Giovanni si fondavano proprio su un rapporto personale, vivo e completamente abbandonato nei confronti del Signore».
«Giovanni XXIII è stato davvero l’uomo dell’incontro».

Giovanni XXIII, il Papa del Concilio, il Papa della pace. Qual è secondo lei il messaggio più attuale per l’oggi che ci offre Angelo Roncalli per la Chiesa e per il mondo?

«Credo che tutta la vita di Papa Giovanni sia stata un messaggio: lo è stato il Concilio, aldilà di quello che sono i suoi documenti, le conseguenze che ha portato nella vita della Chiesa. Lo è stato soprattutto – e lei lo ricordava – anche l’Enciclica Pacem in Terris, che ha veramente colpito tutti nella Chiesa e fuori della Chiesa. Credo che l’insegnamento principale di Papa Giovanni di cui dobbiamo fare tesoro è proprio quello di cercare ciò che ci unisce più di quello che ci divide. Credo che sia un insegnamento, un richiamo, un’esortazione di particolare attualità dentro la Chiesa, oggi, e fuori dalla Chiesa in un mondo che tende sempre più alla frammentazione, che tende sempre più a dividere le persone, i gruppi, le società e gli Stati, a creare tensioni. Quindi è questa fiducia reciproca, questo atteggiamento di fiducia nelle persone che permette di incontrarle per quello che sono nella loro realtà, e questa ricerca di quello che ci è comune, per partire da lì e poi per affrontare anche le eventuali differenze e cercare di farle convergere in un’unità superiore che permetta di affrontare e di risolvere i grandi problemi dell’uomo di oggi».

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