Allenare la lingua

Allenare anche la lingua? Sarebbe un’ottima idea per gli allenatori di calcio, entrati di prepotenza nell’omerico bestiario che il circo del pallone si porta sulle spalle più o meno da quando è nato. Ad onor del vero bisogna ammettere che i «mister» erano sempre rimasti ai margini del folclore di genere.

Sembravano bastare i calciatori viziati, i presidenti bisognosi di coccole e di congiuntivi, gli arbitri con la sindrome da Wanda Osiris e gli ultrà stile Genny ’a Carogna, frustrati col passamontagna incorporato. Gli allenatori erano rimasti fuori. Certo Oronzo Canà, le sfuriate del Trap, i salamini di Rocco, le manette di Mourinho. Poca roba, tollerabile, persino divertente. Gli allenatori sembravano gli equilibrati (e ben pagati) depositari di una scienza minata dagli altri sgangherati protagonisti.

Tutto questo fino a martedì sera, quando il tecnico del Napoli, il ruspante Maurizio Sarri in tuta ha gridato in faccia a Roberto Mancini, capostipite dei tecnici fashion tutto cachemire, rombi e ripartenze: «Sei un frocio, un finocchio». Un attimo prima due perfetti rappresentanti di una pantomima estetica che negli anni Settanta sarebbe sfociata in lotta di classe. Un attimo dopo il silenzio dell’imbarazzo. «Mi è scappato, scusa, ma certe cose dovrebbero rimanere fra noi», ha spiegato Sarri, con una pezza che è peggio del buco perchè la logica della polvere sotto il tappeto oggi è perdente.

Omofobia. Negli Stati Uniti suoi colleghi (nel basket, nel football) hanno chiuso. Qui non succederà. Ma l’equilibrio è svanito e il «mister» entra ufficialmente nel circo. A conferma che nella società di oggi è più difficile allenare la lingua che un terzino.

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