Custodi
incustoditi

Uno nessuno centomila. E invece sono 66, numero fin troppo preciso nella sua esagerazione, i custodi a stipendio della Regione Sicilia che ad Agrigento si occupano della memoria culturale e della casa in cui visse Luigi Pirandello.

Sessantasei, un’enormità, un numero che la dice lunga riguardo a due modi opposti di affrontare la crisi: c’è chi stringe la cinghia dei pantaloni e c’è chi si aggrappa ancora di più alla mammella dello Stato assistenziale. Un esercito di custodi che si alternano e presumibilmente molto si annoiano nel tenere aperti due siti, il più frequentato dei quali (l’abitazione con alcuni manoscritti) è grande 80 metri quadrati.

Alla notizia che suscita indignazione - di questi tempi - c’è chi risponde con maggiore indignazione: è il direttore del museo-biblioteca Vincenzo Caruso. «Qui si fa confusione tra funzionari e custodi veri e propri, che sono 15. E mi permetto di dire che ne servirebbero anche di più».

Danzare sulla musica dei numeri è del tutto inutile, anche perché alla casa Manzoni di Milano i custodi sono due e in quella di Leopardi a Recanati è uno solo. Agli Uffizi, per capire l’ordine di grandezza, gli addetti sono 186, ma per 45 sale con dipinti pazzeschi e una superficie di 12 mila metri quadrati.

Così si snoda il tran tran nella Agrigento pirandelliana: dal lunedì al venerdì 8.30-13 più due aperture pomeridiane il mercoledì e il giovedì dalle 16.30 alle 18. Sabato e domenica tutto chiuso, il weekend dell’esercito di custodi è sacro. Forse per questo, in un anno, l’introito del sito è di 40.000 euro ed è facile immaginare l’imbarazzante deficit, visto che quella cifra serve a malapena a pagare due custodi. È la Sicilia di Pirandello, quella che gli valse il Nobel. E che un secolo dopo vale a malapena una bancarotta annunciata.

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