Il valore del silenzio

Non riusciamo a stare fermi in silenzio neppure davanti a una salma. Sta accadendo con Pino Daniele, musicista dall’anima profonda e persona che amava la vita color pastello, tanto da cercare la serenità in un antico e isolato cascinale sulle colline toscane.

Martedì la camera ardente di quest’uomo schivo è stata presa d’assalto dai fans, e questo si può comprendere. Meno che i fotografi abbiano fatto a gomitate per scattare l’immagine vincente davanti al feretro aperto creando una tensione tale da costringere i parenti a chiudere il pubblico saluto dopo mezz’ora.

Lui ha amato e cantato Napoli («Cerco l’ottava nota per dirle quanto le voglio bene») ma non ha mai voluto avallare quella certa passività tutta partenopea di fronte alle sfide del futuro. A tal punto da lasciare, e accarezzare da lontano, la sua città.

I figli sono cresciuti a Roma, vorrebbero che il funerale fosse nella capitale. Ma due dei fratelli si sono opposti, ritengono che le esequie lontano da Napoli costituiscano un affronto. Soluzione: funerali a Roma e il giorno dopo «emotion day» a Napoli.

Il bagno di folla nel giorno del silenzio era accaduto per Mia Martini, per Lucio Dalla, per Califano. Una fine da rockstar. Ma del tutto inedita è l’intrusione dei tifosi del Cesena, che martedì allo stadio hanno intonato il coretto «Noi non siamo napoletani» e fischiato durante il minuto di silenzio chiesto dal Napoli.

Tutto questo per dire che c’è qualcosa di patologico nell’italiano che non sa rispettare il valore del silenzio nel momento dell’estremo saluto e non riesce a fare a meno di riempirlo con i suoi entusiasmi, le sue frustrazioni, il suo inguaribile desiderio di protagonismo.

Come se la persona da onorare fosse comunque meno importante di noi. Voglia di esserci, di farlo sapere, anche nell’istante supremo. Un macabro selfie.

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