Il vangelo di De Luca

Non farà la fine di Socrate, continuerà a vivere da Erri De Luca. Si è concluso con un’assoluzione perché «il fatto non sussiste» il processo che non avrebbe mai dovuto cominciare.

Lo scrittore che in due interviste aveva tessuto l’elogio dei sabotaggi in Val di Susa («la Tav va sabotata», «quelle cesoie serviranno») ha accolto con un sorriso la sentenza del giudice che lo ha dichiarato innocente dall’accusa di istigazione a delinquere mossagli dalla procura di Torino. La richiesta era di otto mesi di pena, è arrivata l’assoluzione con formula piena. «È stata impedita un’ingiustizia», ha dichiarato De Luca. Più semplicemente un giudice saggio ha evitato che per convegni, festival letterari e aule universitarie si aggirasse un nuovo martire. Un intellettuale alla sbarra per aver manifestato il suo pensiero è sempre imbarazzante, lo è ancora di più in un Paese nel quale la libertà di espressione senza l’ausilio dell’insulto è un valore primario della democrazia.

Detto questo con chiarezza, e assodato che è impossibile dimostrare il rapporto causa-effetto fra le parole di Erri De Luca e i raid dei centri sociali anti-Tav, è giusto aggiungere che in Italia abbiamo vissuto una stagione di cattivi maestri difficile da dimenticare. Un periodo che lo scrittore napoletano conosce molto bene poiché militò in Lotta Continua e visse in prima persona lo sbandamento della generazione che negli anni Settanta incendiò il Paese. Dopo quei falò il pensiero degli intellettuali non è vangelo a prescindere; anche loro hanno responsabilità riguardo a ciò che scrivono e dicono. Sono morali, non giudiziarie. Ma ci sono.

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