L’Isis di Giletti

Si sa solo che è stato un guerrigliero nero. Dopo aver visto e ascoltato l’intervista di Massimo Giletti si sa anche che è un ragazzo molto confuso. È il video del giorno, quello lanciato dal programma della Rai «L’Arena», in cui il conduttore travestito da pittoresco inviato speciale intervista un tagliagole islamico catturato dai peshmerga curdi ai confini con l’Iraq.

«Un mio amico mi ha convinto a unirmi a loro, credevo che fosse per una buona causa ma poi ho capito che non era così», spiega l’uomo parecchio contrito, già prevedendo l’accoglienza in un carcere curdo. «Ho solo combattuto per loro ma non ho tagliato teste», mette le mani avanti prendendo le distanze perché non si sa mai. Parla come se si fosse trattato di una semplice scelta sbagliata, non della partecipazione a una guerra sanguinaria nelle file di un esercito feroce che ha massacrato innocenti, ridotto in schiavitù donne e bambini, bruciato case e chiese, decapitato cosiddetti «infedeli», distrutto vestigia di culture millenarie, minacciato il mondo con attentati terroristici.

Di quel guerrigliero ci resta l’impressione di totale incoscienza (vera o finta?) per gli atti compiuti. Il guerrigliero sembra estraneo a tutto, ha sul volto un’espressione perplessa da «che ci faccio io qui» e pronuncia parole che paiono la fotocopia di quelle ritrovate nel diario di Giuliano Delnevo, il foreign fighter di Genova disperso in Siria. «Pensavo si trattasse di una causa giusta, ma noi dormiamo per terra e i capi negli alberghi». Come se fosse giusto uccidere donne e bambini solo perché cristiani, come se fosse lecito mettere a ferro e fuoco città e costringere i civili a forzate conversioni o alla morte. Non sappiamo se questi pseudo soldati siano pagati o no per diventare assassini, ma vanno fermati.

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