Notturno indiano

Non illudiamoci. Nel campionato mondiale di «Giustizia lenta» arriveremmo secondi, l’India è imbattibile. Ce ne stiamo accorgendo nella vicenda dei due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che ieri si sono visti rinviare dalle toghe indiane l’ennesima udienza utile, non per stabilire colpevolezza o innocenza, ma per definire il capo d’imputazione.

A tre anni dai fatti, il tribunale di New Delhi non è ancora riuscito a decidere di cosa sono accusati di preciso. Nello scontro a fuoco dal bordo della petroliera Enrica Lexie (era il 15 febbraio 2012) furono uccisi due pescatori e i fucilieri di marina in servizio di sorveglianza furono arrestati e accusati del duplice omicidio. Sospetti e teoremi tanti, prove zero. Ma gli indiani ne fecero subito una questione di principio e da tre anni le aule di Giustizia si palleggiano le responsabilità nell’istruire un processo ai due militari italiani.

L’intrigo internazionale ha portato a un braccio di ferro fra due Paesi, a ritorsioni economiche minacciate dall’India, a poco onorevoli giravolte diplomatiche, alle dimissioni di un ministro con la schiena dritta come Giulio Terzi, a promesse di accelerazione e a buchi nell’acqua di chiunque si sia adoperato per trovare una soluzione.

Ora un nuovo rinvio, perché il tribunale speciale di New Delhi ha scoperto che se ne sta occupando la Corte Suprema, quindi non intende interferire e fino al primo luglio se ne laverà le mani. Un supercavillo. Nel frattempo i due marò - rinvio dopo rinvio - stanno già scontando l’ergastolo.

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